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Giovedì, 02 Mag 2024

Un gruppo internazionale di studiosi, del quale fanno parte ricercatori dell’Università di Siena (Annamaria Ronchitelli e Stefano Ricci) e di Firenze (David Caramelli e Martina Lari), analizzando il genoma di cinquantuno individui vissuti in Europa, tra 45.000 e 7.000 anni fa, prima dell’introduzione dell’agricoltura, ha prodotto un circostanziata descrizione della storia genetica dell’uomo europeo vissuto durante l’era glaciale.

I risultati della ricerca, che ha ampliato di dieci volte il campione di Dna antico appartenente alle popolazioni di cacciatori raccoglitori europee, sono stati di recente pubblicati dalla rivista scientifica Nature.

Tre dei campioni fossili provengono da Grotta Paglicci in Puglia, dove Annamaria Ronchitelli del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena coordina le ricerche in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Puglia. L’analisi genetica di questi reperti è a cura del Laboratorio di Antropologia Molecolare e Paleogenetica dell’Università di Firenze, diretto da David Caramelli del Dipartimento di Biologia.

L’enorme quantità di informazioni raccolte dall’esame dei resti umani ha reso possibile il monitoraggio dei cambiamenti genetici intervenuti in oltre 30.000 anni di storia e il loro rapporto con le trasformazioni culturali.

Lo studio ha confermato con maggiore chiarezza il declino del Dna neandertaliano presente nel genoma moderno. In particolare, nei campioni analizzati gli studiosi hanno rilevato un valore tra il 3 e il 6 per cento di DNA neandertaliano, che nell'umanità attuale si è ridotto intorno al 2 per cento in quanto  “evolutivamente svantaggioso”.

Inoltre, lo studio ha fatto emergere che uno dei ceppi a cui appartenevano i primi abitanti europei, che sembrava essersi estinto intorno a 33mila anni fa, sostituito da un ceppo successivo, è invece riapparso in alcuni campioni risalenti alla fine del massimo glaciale, circa 20.000 anni fa.

Un’altra importante scoperta evidenzia la comparsa, già 14.000 anni fa, di una nuova componente genetica attualmente presente nelle popolazioni del Vicino Oriente e introdotta probabilmente da quelle aree in Europa attraverso un flusso migratorio favorito dal riscaldamento climatico.

Sempre dall’esame del Dna, è provato nello stesso periodo un contatto con popolazioni dell'Estremo Oriente, che ha portato a un’ulteriore trasformazione del paesaggio umano europeo.

Allo studio hanno collaborato università e enti di ricerca di tutto il mondo sotto la supervisione di David Reich (Harvard Medical School), Svante Pääbo (Max Planck Institute di Lipsia) e Johannes Krause (Università di Tubinga).

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