La rotigotina, un farmaco che agisce sulla trasmissione della dopamina nel cervello, utilizzato per pazienti con morbo di Parkinson, ha dimostrato di produrre "effetti positivi sulle funzioni cognitive in 94 pazienti con lieve o moderata malattia di Alzheimer", malattia che nel nostro Paese colpisce più di 600mila persone e rappresenta circa il 60% delle oltre 1milione e 240mila diagnosi di demenza.
L’importante risultato, che emerge da uno studio pubblicato il 15 luglio scorso sulla rivista scientifica Jama Network Open, è stato ottenuto a seguito di un test clinico svolto dalla Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma e finanziato dalla Alzheimer’s Drug Discovery Foundation (Addf).
Lo studio denominato Dopad (Effects of Dopaminergic Therapy in Patients with Alzheimer’s Disease), condotto su 94 pazienti di età compresa tra 55 e 83 anni con malattia di Alzheimer da lieve a moderata, è stato curato da Giacomo Koch, neurologo e direttore del laboratorio di Neuropsicofisiologia sperimentale della Fondazione Santa Lucia di Roma, in collaborazione con Alessandro Martorana, neurologo dell’Università Tor Vergata di Roma, e con un team di ricercatori.
"Gli attuali trattamenti per l'Alzheimer – ha dichiarato il professor Koch - agiscono sul neurotrasmettitore acetilcolina, tuttavia, la ricerca preclinica ha rilevato un ruolo chiave anche nel neurotrasmettitore dopamina, che è il più grande modulatore della plasticità cerebrale. Recenti studi scientifici hanno mostrato come la dopamina agisca a livello dei lobi frontali del cervello migliorando le abilità cognitive di ragionamento, le cosiddette funzioni esecutive".
"Questo studio - ha aggiunto Koch - è un importante passo avanti nel mostrare come i pazienti con malattia di Alzheimer possono trarre beneficio dalle combinazioni di farmaci che migliorano le funzioni cerebrali interagendo con diversi sistemi di neurotrasmettitori e potrebbe aprire a nuove opzioni terapeutiche per ritardare l'insorgenza della demenza di Alzheimer incentrate sulla trasmissione dopaminergica in trattamento precoce, quando le funzioni cognitive correlate all'attività del lobo frontale e le capacità di vita quotidiana dei pazienti sono solo lievemente compromesse. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per determinare il ruolo potenziale della rotigotina nel trattamento dell'Alzheimer".
"I pazienti trattati con rotigotina hanno riportato alcuni miglioramenti che sono molto importanti per le persone con Alzheimer", ha dichiarato Howard Fillit, medico e direttore esecutivo e scientifico dell’Alzheimer Drug Discovery Foundation.
"La rotigotina – ha aggiunto Fillit - ha migliorato le funzioni esecutive, che aiutano i pazienti in compiti cognitivi chiave, come il ragionamento, il giudizio, la memoria di lavoro e l’orientamento. Ha inoltre migliorato la loro capacità di svolgere le attività quotidiane di routine come lo shopping, la pianificazione, l’igiene personale e l'alimentazione. Questo significa preservare la loro indipendenza più a lungo e ridurre l'onere per gli operatori sanitari".
Per capire come la rotigotina influenza il funzionamento dei lobi frontali e le loro connessioni, sono state combinate diverse tecniche neurofisiologiche tra cui stimolazione magnetica transcranica, analisi di diagnostica per immagini ed elettroencefalogramma. Tramite queste tecniche è stato possibile rilevare che, ai miglioramenti osservati nelle funzioni cognitive, si accompagnava un incremento dell’attività cerebrale del lobo frontale dovuta a una modulazione della trasmissione dopaminergica.
“Adesso – ha concluso Koch - vogliamo studiare gli effetti della rotigotina in una fase ancora più precoce, quella cioè in cui c'è malattia individuata con biomarcatori o Pet ma non ci sono ancora i sintomi, se non lievi disturbi di memoria. Per vedere che impatto ha il farmaco sulla progressione e sul contrasto della malattia. E speriamo che la Adff americana ce lo finanzi".