di Roberto Tomei
Bruno de Finetti (Innsbruck 1906 - Roma 1985), con i suoi scritti (circa 300 pubblicazioni), fu protagonista in diverse discipline: dal Calcolo delle Probabilità alla Statistica, dalla Matematica finanziaria e attuariale all'Economia.
Un contributo ancor più significativo, se si pensa che per lungo tempo la sua attività scientifica si svolse "a tempo parziale", avendo prima lavorato all'Istituto centrale di statistica (dal 1927 al 1931), poi alle Assicurazioni Generali di Trieste (fino al 1946).
All'università, come professore ordinario presso la Facoltà di Economia e Commercio di Trieste, entrò soltanto nel 1950, ma con effetto retroattivo dall'anno 1942. Sì, perchè nel 1936 vinse la cattedra di Matematiche finanziarie ed attuariali, ma non fu nominato, in base alle disposizioni vigenti, in quanto celibe. Si sa che una delle sue note caratteristiche era la propensione all'insofferenza verso le teorie consolidate. Un'irriverenza che nel grigio lavoro di ufficio fu sovente percepita come disubbidienza e insubordinazione.
All'Istat, segretario in prova, collezionò diverse "punizioni", come le rubrica, con linguaggio asciutto ma spietato, il suo "stato matricolare". L'annus horribilis fu il 1930: lire 40 di multa per contegno poco corretto in ufficio; censura per cartello affisso alle pareti; lire 25 di multa per errori di calcolo apparsi nel notiziario demografico. Anche se l'aveva voluto con sé il presidente, Corrado Gini, con il direttore Molinari c'era poco da scherzare. L'epilogo della sua carriera (sospensione e allontanamento dal servizio) non dipese comunque da un cartello sospeso tra ironia e sarcasmo, incautamente affisso a una parete dell'ufficio.
La goccia che fece traboccare il vaso fu una sua lettera del 1° giugno 1931, indirizzata al direttore generale dell'INA e ripresa nella sostanza dalla stampa dell'epoca, in cui definì come "cervellotiche e disfattiste" talune asserzioni del prof. Gini sul sangue slavo delle popolazioni venete e adriatiche, che peraltro provocarono scherno e sdegno nel pubblico che assisteva alla conferenza.
Per il Nostro si trattava di una questione scientifica, ma l'amministrazione non l'intese allo stesso modo e gli contestò la violazione dell'art. 83 del regolamento interno, punti 3 e 4 del 2° paragrafo, ossia "denigrazione dell'amministrazione o dei superiori" e "deplorevole condotta".
In Commissione di disciplina non ci fu niente da fare, nonostante la difesa di Bruno de Finetti sia risultata una testimonianza non solo di rigore scientifico e logico, ma soprattutto di grande dignità, quella stessa che egli aveva già dimostrato prima nel corso delle contestazioni fattegli dal direttore Molinari.
Non solo egli non fece alcun passo indietro ma confermò chiaro e forte le sue convinzioni: "Chè se, infatti, denigrazione e offesa vi fosse, la prima e più vera e sanguinosa offesa sarebbe sempre quella contro cui non potevo non ribellarmi. Mi vergognerei di non averlo fatto. Se per questi motivi mi si vorrà colpire, chiedo l'onore e il vanto di essere punito". Aveva solo 25 anni. Questi i tempi ... e gli uomini.