di Flavia Scotti
In caso di effettivo svolgimento di mansioni superiori - ha affermato la Cassazione (Sezione Lavoro n. 20976 del 12 ottobre 2011, Pres. Foglia, Rel. Berrino) - il dipendente ha diritto in ogni caso, anche quando non possa essergli riconosciuto il diritto all'inquadramento nella qualifica superiore, alla corresponsione delle differenze retributive corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte.
Questo diritto deriva direttamente dall'art. 36 Cost., comma 1, in base al quale "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione corrispondente alla quantità e qualità del suo lavoro".
D'altronde il giudice di legittimità ha già avuto modo di chiarire, in materia di pubblico impiego, che il dipendente pubblico assegnato, ai sensi dell'art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, allo svolgimento di mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore rispetto a quella posseduta ha diritto, anche in relazione a tali compiti, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente secondo le previsioni dell'art. 36 Cost., a condizione che dette mansioni siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse, dovendosi ritenere estensibile a tale ipotesi la previsione di cui all'art. 2103 del codice civile.