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Mercoledì, 03 Lug 2024

di Maurizio Sgroi*

I numeri raccontano sempre una storia, a volerla leggere. Il problema è quando i numeri raccontano una storia diversa da quella del mainstream collettivo, quel miscuglio di luoghi comuni e pigrizie intellettuali che vi servono a casa a cena, mentre guardate il telegiornale.

I numeri della nostra bilancia dei pagamenti, ad esempio, raccontano una storia molto interessante, a volerla leggere.

Il problema è che quando si ha a che fare con i numeri la tentazione è sempre quella di prendere quelli che piacciono di più e ignorare gli altri. Vuoi perché ognuno è portatore di una visione del mondo. Vuoi perché non si vogliono o non si sanno leggere.

Tutto ciò per dire che qualche giorno fa, quando la Banca d’Italia ha rilasciato i dati della bilancia dei pagamenti di marzo 2013, la mia prima tentazione è stata quella di leggere il saldo del conto corrente, ossia lo strumento che registra in valore i flussi di scambi di beni e servizi fra noi e l’estero, e finirla lì. In fondo sono solo numeri.

Invece, poi, mi è sorto il dubbio che un saldo negativo significa che abbiamo fatto debiti col resto del mondo, mentre abbiamo guadagnato nel caso contrario. Il conto corrente è uno strumento utile, fra l’altro, perché misura il saldo del nostro commercio estero, nella parte in cui calcola l’import e l’export.

Figuratevi che gioia quando ho letto che il saldo del nostro conto corrente a marzo 2013 è stato positivo per 1,917 miliardi, a fronte del deficit di 1,56 del marzo 2012. La soddisfazione è aumentata quando ho letto il dato riferito ai dodici mesi chiusi a marzo 2013, che hanno registrato un surplus di 837 milioni, a fronte del deficit di 39,2 miliardi dei dodici mesi conclusi a marzo 2012.

A questo punto, però, la mia dannata curiosità mi ha spostato l’occhio sul saldo fra import ed export. Ed anche qui, un tripudio: a marzo 2013 abbiamo chiuso la bilancia commerciale (così si chiama) con un surplus di 4,664 miliardi, a fronte del surplus di 2,419 di marzo 2012. Mentre sui dodici mesi chiusi a marzo 2013 il surplus ha addirittura superato i 25 miliardi a fronte del deficit di circa 8 miliardi accumulato nei dodici mesi conclusi a marzo 2012.

Potevo accontentarmi e godere, invece, molto masochisticamente ho notato che i debiti sulla nostra bilancia commerciale (ossia il nostro import) nei dodici mesi conclusi a marzo 2012 erano di 389,83 miliardi, mentre il nostro import nei dodici mesi conclusi a marzo 2013 è ammontato a 365,117 miliardi. In pratica in un anno abbiamo importato meno merci per oltre 23 miliardi, quasi quanto l’ammontare del nostro surplus, a fronte di un incremento di appena nove miliardi di esportazioni (390 a marzo 2013 a fronte di 381 dei dodici mesi chiusi a marzo 2012).

Anche in Italia, insomma, si ripete il meccanismo che abbiamo già visto all’opera in tutta l’Eurozona: migliorano i conti commerciali grazie al calo della domanda interna, più che all’aumento della domanda esterna, con tutto ciò che ne consegue a livello di Pil.

La buona notizia, insomma, ne contiene una cattiva.

Vabbé, mi sono detto, potrei pure finirla qua. E invece, non pago, sono andato a vedermi il conto finanziario della bilancia, ossia quello che misura i flussi di attività finanziarie e che è un po’ lo specchio del conto corrente (la bilancia dei pagamenti è un po’ esoterica, ma vale la fatica di spenderci qualche ora a studiarla).

Il primo dato interessante riguarda gli investimenti diretti, ossia il flusso che misura quanto gli altri investono da noi per attività produttive (tipo l’acquisto di un’azienda) e quanto noi investiamo dagli altri. Per farvela breve, vi darò solo i dati dei dodici mesi chiusi a marzo 2012 e a marzo 2013.

Nel primo caso, noi italiani avevamo fatto investimenti diretti all’estero per circa 34,5 miliardi, a fronte di circa 22,7 miliardi di investimenti esteri in Italia. In un anno i nostri investimenti diretti all’estero si sono ridotti a 14,7 miliardi, e quelli esteri da noi a poco più di 10 miliardi.

Che significano questi numeri? Noi abbiamo fatto rientrare soldi investiti dall’estero, dai quali presumibilmente incassavamo un rendimento (che di solito viene inserito fra i crediti nella voce reddito delle partite correnti), mentre dall’estero hanno fatto l’inverso, ossia hanno disinvestito. Il che, da un punto di vista puramente finanziario, è un vantaggio, visto che non si dovranno erogare risorse per remunerare i capitali investiti in Italia (meno debiti sulla voce redditi del conto corrente), ma dal punti di vista occupazionale di sicuro no.

Morale: siamo meno internazionalizzati, da un punto di visto produttivo.

Anche qui la buona notizia ne nasconde una cattiva.

Il riferimento è all’investimento di portafoglio. Tale voce, sempre sul conto finanziario, misura i flussi di investimenti da e per l’estero sostanzialmente di titoli obbligazionari. Anche qui, per semplicità, prendiamo i dati aggregati dei dodici mesi conclusi a marzo 2012 e di quelli conclusi a marzo 2013.

A marzo 2012, le nostra passività verso l’estero segnavano un deficit di 139,631 miliardi. In pratica il nostro debito estero era diminuito per la cifra corrispondente, visto che una passività di segno negativo equivale a una positività. Il che non vuol dire che quel debito sia sparito. Ma probabilmente che sia stato scambiato con debito interno, visto che dall’estero hanno richiamato questo capitale.

Un anno dopo, a marzo 2013, la situazione si è capovolta. L’estero è tornato a comprare i nostri titoli di debito (per lo più titoli di Stato) tanto che adesso abbiamo circa 39 miliardi di investimenti di portafoglio dall’estero. Ciò significa in pratica che in un anno abbiamo recuperato un deficit di 139 miliardi e ottenuto un surplus di 39. In pratica è come se ci avessero prestato 178 miliardi. Infatti, se andiamo a vedere il saldo degli investimenti di portafoglio, si passa da un deficit di 83 miliardi nel 2012 a un surplus di 93 nel 2013.

Qual è il problema? Quando ci prestano più soldi dall’estero per finanziare i nostri debiti, poi dobbiamo pagare gli interessi, che vanno all’estero e quindi non producono effetti macroeconomici a casa nostra. La vera spesa pubblica improduttiva.

Anche questa spiacevole circostanza ce la racconta la nostra bilancia dei pagamenti, che mentre registra come attività sul conto finanziario il prestito estero all’Italia (perché entrano soldi) registra come uscita nella voce redditi gli interessi corrispondenti sul conto corrente. E infatti tale voce peggiora da marzo 2012 a marzo 2013 (sempre nei dodici mesi) il deficit cresce da nove a uno di 11 miliardi. E’ facile prevedere che l’aumento dello stock di debito italiano all’estero provocherà aumenti ulteriori di tale voce sul conto corrente. Anche qui, una buona notizia ne contiene una cattiva.

Alla fine di questa lettura alquanto deprimente sappiamo alcune cose:

1) nell’ultimo anno il nostro saldo commerciale è migliorato grazie all’austerità, non alla produttività. Quindi grazie al calo dei consumi che ha finito col deprimere il Pil;

2) l’austerità ha fatto tornare la fiducia degli investitori esteri verso l’Italia, ma limitatamente agli investimenti di portafoglio. Nessuno viene a costruire fabbriche in Italia; al limite si comprano i Btp con i soldi della Bce;

3) il vantaggio finale di tale austerità è che grazie ad essa pagheremo più interessi all’estero sul nostro debito.

Conclusione: la nostra eurodepressione svuota i portafogli italiani e gonfia quelli esteri.

*socio-economic journalist
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