di Antonio Del Gatto
Con sentenza n. 1814/2013, la Corte di cassazione – Sezione Lavoro (Pres.Roselli – Rel. Pagetta) ha respinto il ricorso presentato da un lavoratore che nel 2006 era stato licenziato per avere sottratto uno zainetto ad un collega.
Il dipendente nel corso del procedimento disciplinare avviato dall’azienda, aveva sostenuto che lo zainetto era stato abbandonato e che, pertanto, si trattava di una semplice appropriazione di oggetto smarrito.
Alla tesi non hanno dato credito né il datore di lavoro né i tribunali di merito né, da ultimo, la Cassazione.
La Suprema Corte, infatti, nel confermare la decisione della Corte d'appello, ha sottolineato la circostanza che il dipendente, dopo il furto, aveva tentato di "impedire il pieno accertamento dei fatti e delle sue responsabilità".
I Giudici di piazza Cavour, nel confermare il licenziamento, hanno altresì ricordato che "ai fini della valutazione di proporzionalità non appare decisiva l'assenza di danno patrimoniale per la società".
La Cassazione, inoltre, ha precisato che al di là del valore del bene sottratto, è l'atto in sé che "incrina il rapporto di fiducia" tra lavoratore e azienda e che per stabilire se i fatti addebitati al lavoratore siano o meno "giusta causa di licenziamento si deve tenere conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro e il lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da questa organizzazione".
Pertanto, concludono gli Ermellini, "un fatto costituente reato contro il patrimonio, ancorché determinato da un danno patrimoniale di speciale tenuità, alla stregua della legge penale, può essere considerato di notevole gravità nel diverso ambito del rapporto di lavoro, tenuto conto della natura del fatto, della sua sintomaticità e delle finalità della regola violata".