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Giovedì, 04 Lug 2024

Mentre i disordini di Hong Kong di recente hanno attirato la nostra attenzione, le cronache continuano a ignorare la piccola Macao, perfetta metafora dello spirito del tempo. Prima colonia portoghese e ora regione speciale del nascente impero cinese, Macao sperimenta su di sé croci e delizie dell’economia globale, che se ancora le garantisce rendimenti e crescite stellari, nell’ordine dell’8-10% di Pil annuo, vede sorgere su di sé il tramonto incipiente dell’Occidente, gravato da debiti irredimibili, e insieme della sua Mainland, ossia la Cina, che cova grandi rischi insieme alle sue conclamate grandi opportunità.

Che poi Macao sia anche una delle capitali mondiali del gioco d’azzardo, e insieme un porto franco della finanza, ossia un paradiso fiscale, è anche questa una simpatica metafora per dire che le due principali fonti di reddito di Macao, oltre al turismo che a ben vedere è una diretta conseguenza, condividono i rendimenti e i rischi dell’economia globale, laddove una repentina contrazione del buonumore mondiale, per adesso sapientemente alimentato dalle politiche espansive delle banche centrali, si abbatterebbe come un tifone tropicale sulla seconda Costantinopoli cinese.

Malgrado tutto ciò, Macao è assai poco frequentata dalle cronache, che sottovalutano quanto l’ex colonia possa funzionare da veicolo di contagio, da una parte, e quanto sia esposta ai malmostosi influssi che da Occidente spirano verso Oriente, e che sempre più spireranno allorquando la normalizzazione monetaria della Fed inizierà a dispiegare i suoi effetti.

Giova perciò leggere le 57 pagine che il Fmi ha di recente dedicato a Macao. Vi ritroveremo tutti i nostri vizi – dal gioco d’azzardo (finanziario o da casinò) al mercato immobiliare ormai fuori controllo – e la nostra mitologia che si nutre di grattacieli e redditi pro capite elevati, accoppiata a un tasso di fertilità fra i più bassi la mondo, che rivela uno stato dell’anima dove ognuno bada al suo conto corrente, piuttosto che a riprodursi, e dove la gente si accalca – Macao primeggia per densità abitativa – sognando ognuno il miglior posto al sole salvo poi restare delusi. In tal senso Macao è avanguardia, e come tale va osservata.

Dopo la “liberazione” dal Portogallo nel 1999, che aveva occupato per 400 anni il piccolo territorio a sud di Hong Kong, la Cina ha accordato a Macao lo stesso status giuridico concesso ad Hong Kong. Ossia di regione ad amministrazione speciale dove la madrepatria si occupa di difesa e politica estera, mentre Macao, fino al 2049, ha ottenuto il diritto di gestirsi da sola le politiche economiche, commerciali e monetarie.

Un porto franco, insomma, che attira capitali e scommettitori d’azzardo (ammesso che ci sia qualche differenza) come il miele le mosche. Nel territorio vivono 600mila persone su una superficie di appena 31 chilometri quadrati, cui si aggiungono i pendolari del gambling, sempre più numerosi. Nel 2013, per darvi un’idea, gli ingressi sono stati superiori a 29 milioni di persone. Il gioco d’azzardo, per darvi un’altra idea, pesa i quattro quinti dell’export e i tre quarti degli incassi fiscali del governo, un quarto dell’occupazione e la metà del Pil.

Questo meraviglioso casinò globale alle porte di Pechino si è giovato delle liberalizzazione, decisa nel 2002, del gioco d’azzardo cui è seguita, logicamente, quella degli ingressi turistici. Sicché orde di scommettitori, perlopiù provenienti da Hong Kong e dalla Cina, hanno iniziato ad affollare Macao, facendo schizzare alle stelle il reddito pro capite.

Ma non è stato sempre così. All’indomani della “liberazione” Macao conobbe una crisi deflazionaria, accompagnata da un crollo dei corsi immobiliari e un rapido incremento delle sofferenze bancarie. Ma poi, a partire dai primi anni 2000, il clima è cambiato. Oggi Macao ha superato Las Vegas proprio sul terreno dei casinò. Nel 2013 gli incassi derivanti dal gioco d’azzardo sono cresciuti del 19%, arrivando a sfiorare i 40 miliardi di dollari, a fronte dei cinque di Las Vegas. In questa convergenza della timida Asia verso i valori impudichi dell’Occidente, s’individua l’ennesimo passaggio di consegne fra Ovest ed Est, col suo portato inflazionario, con i prezzi stabilmente in crescita di oltre il 5% guidati dal boom del mattone, con la sua grande disuguaglianza, che “rimane una preoccupazione”, nota il Fmi, anche se non si capisce di chi.

Il secolo asiatico, insomma, individua in Macao uno dei suoi interpreti più autentici, l’ennesimo anello di congiunzione fra gli Usa e la Cina che trova nella moneta la sua più esemplare sintesi. E la circostanza poi che il boom del gioco d’azzardo sia andato di pari passo con quello dei valori azionari, rivelandosi sostanzialmente la stessa cosa, è un’altra meraviglia del tempo del quantitative easing.

La politica monetaria di Macao, infatti, è fortemente collegata a quella di Hong Kong, a sua volta legata a quella americana e ciò implica che Macao importi inflazione a seconda dell’umore degli americani. La moneta, tuttavia, è sostenuta da un’abbondante dotazione di asset esteri, forte anche della posizione netta di creditore che Macao, orgogliosamente esibisce sulla sua bilancia dei pagamenti, alimentata da un corposo surplus di conto corrente, arrivato al 44% del Pil nel 2013, controbilanciato dal deficit del conto capitale e finanziario, atteso che gli asset liquidi, compresi quelli pubblici, vengono investiti all’estero. Nessuno, d’altronde, dubiterà che il vizio sia un’ottima fonte di prosperità economica.

Sul versante fiscale, il gioco d’azzardo ha generato introiti tali da mandare in surplus il bilancio dello Stato: la regione non ha debito pubblico e può contare su riserve fiscali per quasi il 60% del Pil da utilizzare in caso di torbidi contro shock esterni o interni, la cui probabilità non è affatto remota. Basta ricordare che il settore finanziario pesa il 250% del Pil, dominato da banche estere che tengono fuori dai confini circa il 60% dei loro asset. Mentre le banche locali, riempite dai corposi depositi dei residenti, possono contare sull’assistenza delle banche estere residenti per pianificare la loro attività di risk management e finanziario. In sostanza, Macao è un paradiso, ma fragile. E poi c’è il mercato immobiliare, sempre più teso, che preoccupa non poco i regolatori, anche perché la bolla del mattone di Macao si aggiunge a quella di Hong Kong e, soprattutto, a quella della Mainland cinese.

Prima della crisi Macao cresceva al ritmo del 14%, poi con la crescita ha perso la doppia cifra, ma le politiche americane l’hanno in qualche modo sostenuta. I bassi tassi, immediatamente recepiti dall’economia domestica, hanno generato un boom del credito incoraggiando i debitori, interni ed esteri, a farne ancora di più. Enormi flussi di investimenti diretti sono arrivati, per lo più concentrati sul mattone, replicando un copione che ormai conosciamo fino allo sfinimento. “L’outlook è brillante – dice il Fmi – ma Macao deve prepararsi per il futuro”.

E il futuro che fa paura è sempre lo stesso: la fine della bonanza monetaria in un contesto internazionale in cui i debiti sono aumentati, anziché diminuire, e che perciò hanno incrementato i rischi connessi ad una crescita del costo del denaro. Tanto più per una piccola regione stretta fra la politica monetaria americana e quella finanziaria della Cina, con un invecchiamento della popolazione che si presume farà rallentare la domanda di gioco d’azzardo, ossia la cornucopia di Macao.

Paradossalmente, ma poi neanche tanto, la fortuna di Macao può esser anche la sua disgrazia. Se l’economia dovesse rallentare o finire in stagnazione, negli Usa come nell’Ue, tutto il castello di benessere potrebbe sgretolarsi molto rapidamente trasmettendosi dal canale fiscale a quello finanziario per il tramite di un’improvvisa mancanza di liquidità.

Ma il rischio principale rimane sempre lo stesso: il mattone. L’indice dei corsi immobiliari è passato dal livello 100 del 2008 a oltre 300, a significare prezzi più che triplicati a fronte di una ricchezza delle famiglie aumentata solo di una volta e mezzo. Qui la questione del rialzo del costo denaro ha un’influenza diretta, atteso che il sospetto di una sopravvalutazione dei corsi immobiliari è assai fondato e dato pure il deterioramento degli indici di housing affordability, ossia gli indicatori che ci dicono quanto sia possibile acquistare o affittare casa, peggiorati drasticamente dopo l’inizio della crisi. “Un calo severo del mercato immobiliare può avere un impatto negativo significativo sulla qualità del credito, sul fisco e su tutta l’attività economica”.

Basti considerare che il settore delle costruzioni pesa il 4,7% del Pil e il 10% dell’occupazione e ha dei legami strettissimi col settore finanziario, che l’ha sostenuto, arrivando alla circostanza che il settore delle costruzioni pesa il 50% della domanda privata di credito nazionale. Quanto alle famiglie, la spesa per il servizio del debito legatio ai mutui ormai si colloca al 25% del reddito, dopo aver assorbito il 38% del credito domestico.

Anche qui: il solito copione, che abbiamo visto a Hong Kong e in Cina, per tacere dell’Occidente.

Parrà a molti stravagante a questo punto, e forse lezioso, andare a strologare d’una terra così lontana e sostanzialmente irrilevante, quando dobbiamo vedercela con i nostri europeissimi problemi. Ma sarebbe  errato crederlo, trascurando un’altra caratteristica del nostro mondo globale che prima ancora fu globale ma su scala coloniale. Perché, vedete, il problema è che Macao, oltre ad avere stretti e conclamati legami politici con la Cina, ne ha pure con un’altra controparte che già di suo soffre di salute malferma, per non dire periclitante: il Portogallo.

Solo chi creda veramente finita la colonizzazione può pensare che Macao, dopo 400 anni, non abbia tessuto legami fitti con l’ex madrepatria, ossia quel Portogallo che le nostre europeissime cronache tengono sempre in conto quando si debbano tratteggiare i paesi resi disgraziati dalla crisi economica.

Non bisogna stupirsi perciò che il nostro spicchio d’Europa condivida, insieme con Hong Kong e la Cina il grande privilegio d’esser depositario dei due terzi degli asset interbancari che coinvolgono Macao. Shock legati al credito o al funding in queste tre controparti possono creare gravi danni a Macao, e viceversa, il tutto complicato dalla scarsa pubblicità che hanno i dati sull’esposizione bancaria della regione. E poi c’è anche l’Australia, di recente divenuta controparte importante di Macao.

Sarebbe una ironica chiosa della storia che il nostro Portogallo, che di recente ha subito gravi tormenti a causa di una delle sue banche, finisca col turbare la paciosa accumulazione della sua ex colonia. Ma non sarebbe l’unica.

E neanche l’ultima.

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