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Mercoledì, 03 Lug 2024

Le importazioni tedesche. L’istituto di statistica tedesco ha rilasciato gli ultimi dati del commercio della Germania, evidenziando il record storico dell’attivo commerciale del paese, arrivato a oltre 250 miliardi di dollari nel 2016. Tutti i giornali hanno osservato che mai la Germania aveva avuto un attivo così elevato. Ma questa suggestione ne nasconde un’altra che, invece, è bene conoscere per farsi un’idea più precisa del perché la buona salute del commercio tedesco riguardi tutti noi. Il fatto è semplice e si può osservare non guardando solo il saldo ma tutti i flussi commerciali della Germania.

Accanto ai 1.207 miliardi di merci vendute all’estero dalla Germania, ci sono 954 miliardi di merci estere comprate. Ciò significa che molti paesi hanno goduto degli effetti positivi della domanda tedesca sulla loro economia. Per la cronaca è interessante ricordare che l’Italia, che pure ha un deficit bilaterale nei confronti della Germania, nel 2015 vi ha esportato merci per oltre 51 miliardi. Quindi, i tanti che lamentano gli eccessi commerciali della Germania, e in cuor loro si augurano che finiscano, dovrebbero ricordare che ciò rischia di far pagare un conto assai salato anche a noi. Ci piaccia o no.

I love shopping, on line. Economia digitale non vuol dire solo reti, terminali e dati. Significa anche comprendere il mutamento di consuetudini secolari e l’evolversi della tecnologia che sta delineando la nuova globalizzazione digitale del XXI secolo. Una di queste pratiche è sicuramente quella degli acquisti on line, che potremmo considerare come l’evoluzione digitale dei vecchi acquisti analogici per corrispondenza. I più grandicelli ricorderanno il vecchio catalogo Postal market, o i vecchi club del libro che, peraltro, ancora ci sono. Una recente ricerca di Eurostat ha calcolato che l’84% dei residenti nell’UE di età compresa fra i 16 e i 74 anni ha usato internet nel 2016 e due terzi, pari al 66%, ha effettuato ordini on line di beni o servizi. Nel 2007 questi utenti non superavano il 50%.

Noi italiani siamo un po’ fanalino di coda, con poco più del 40%, ma siamo cresciuti dal 2012, quando si era sotto il 30. Rimane il fatto che comprare on line non significa solo fare ordini per corrispondenza con un click. Significa pure che invece del vecchio Postal market ora andiamo, ad esempio, su Amazon che, oltre a venderci prodotti di qualunque genere, produce film, possiede giornali e ha pure una sua moneta per le transazioni interne. Roba che Postal market neanche si immaginava. E questo è il vero punto saliente dell’economia digitale.

Energia col vento in poppa. L’Agenzia internazionale dell’energia, l’IEA, ha diffuso uno studio secondo il quale la crescita delle energie rinnovabili sarà molto più rapida di quanto stimato fino ad oggi, arrivando a ipotizzare che per i prossimi cinque anni verranno installate 60 turbine alimentate a vento al giorno in diversi paesi del mondo. Parliamo di circa 110 mila impianti, quindi. Globalmente la crescita di energia da fonti rinnovabili dovrebbe crescere del 13% da qui al 2021, per lo più in seguito alle politiche che l’Agenzia si aspetta vengano attivate negli Usa, in Cina, India e Messico. Nello stesso periodo ci si attende che i costi per i pannelli solari diminuiscano di un 15%. Anche qui perciò, come si è visto a proposito della diffusione delle auto elettriche due settimane fa, a fare la differenza nella produzione e nella diffusione di queste fonti rinnovabili sarà il costo-opportunità.

Interessante ricordare che il grande sviluppo dell’energia solare ed eolica ha consentito che oggi le rinnovabili rappresentino più della metà della nuova capacità energetica nel mondo, raggiungendo nel 2015 il record dei 153 gigawatt, il 15% in più rispetto all’anno precedente. Sempre nel 2015 sono stati installati quasi mezzo milione di pannelli solari al giorno. In Cina, che pesa per circa il 40% sull’aumento globale delle fonti rinnovabili globali, nel corso del 2015 sono state installate due turbine a vento ogni ora per tutto l’anno.

Bamboccioni britannici. Di solito sono gli italiani a passare per bamboccioni sempre legati al cordone ombelicale di mammà. Ma la realtà è sempre un filo più intricata di quanto non possa raccontare un titolo di giornale e dovremmo abituarci a guardare in profondità per capire bene le correnti del presente. Uno stimolo in tal senso ce lo offre un recente studio diffuso dall’Ons, istituto di statistica britannico, che mostra come la quota di giovani adulti, quindi dai 20 ai 34 anni, che vive con i genitori in UK ormai sfiori il 25%. In sostanza, uno su quattro sta a casa con i suoi. Poco male, viene da dire, se non fosse che nel 1996 erano uno su cinque. In sostanza in un ventennio i 2,7 milioni di bamboccioni britannici sono diventati 3,3 milioni.

Cosa è successo nel frattempo? Notate che il livello del 1996 era all’incirca lo stesso del 2008. L’evoluzione avviene da quel momento in poi e conosce il suo picco dal 2010-11. Curiosamente in quegli anni è cominciata la crescita del mercato immobiliare e tale sviluppo si è associato a un altro: il numero dei giovani proprietari di casa (25-29 anni) è passato dal 55% del 1996 al 30% del 2015, mentre quello di 30-34 è diminuito dal 68% al 46%. Che fine hanno fatto questi giovani? Chi poteva permetterselo è andato in affitto, la quota di giovani in affitto infatti è notevolmente cresciuta dal 2008. Gli altri sono tornati a casa di mammà. Non credo avessero tutta questa nostalgia.

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giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer

 

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