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Sabato, 27 Apr 2024

Siamo in campagna elettorale, mi dico, e le cronache dimostrano con quanta facilità i nostri politici promettano le cose più fantasiose per accaparrarsi un voto, salvo poi dimenticarsene subito dopo.

E, poiché promettere è gratis, mi aspetterei di trovare uno qualunque di costoro almanaccare le folle con un giuramento solenne: venderemo più servizi e, così facendo, miglioreremo non solo la nostra posizione estera, ma anche la nostra produttività. Troppo complicato? Ok, proviamo così: dobbiamo migliorare i nostri servizi per avere un’economia più moderna e maggior benessere.

Purtroppo, di tale argomento non trovo traccia nel nostro dibattito elettorale, che ha poche idee ma confuse su roba tipo flat tax, euro, pensioni, e altre amenità ma si guarda bene dall’osservare la realtà al di là dei (presunti) desideri di chi vota. Un vero peccato perché la realtà offre tantissime occasioni di riflessione che, purtroppo, molto difficilmente riescono a guadagnarsi la ribalta della pubblica attenzione, completamente invasa dalle notizie futili. Come accade alla moneta, l’informazione cattiva scaccia quella buona.

Vale la pena, tuttavia, fare un tentativo assolutamente inattuale. E per l’occasione, decido di servirmi di un grafico pubblicato sull’ultimo bollettino economico di Bankitalia che contiene numerosissimi spunti di analisi.

Come si può osservare, il saldo del conto corrente (linea nera) si è stabilizzato a poco meno del 3% sul pil da circa un anno. A questa stabilizzazione ha contribuito il saldo dei redditi primari, cresciuto nel corso del 2017, che ha compensato la diminuzione del saldo delle merci. Su quest’ultimo, ha sicuramente pesato l’aumento della nostra bolletta energetica (linea rossa tratteggiata con i rombi) che come si può osservare si avvia a pesare il 2% del pil e peggiora da fine 2016, quando l’Opec e la Russia hanno inaugurato la politica dei tagli. Col petrolio ai livelli attuali non c’è da aspettarsi miglioramenti. Noterete che nel 2012 questa bolletta pesava il 4% del pil e, se guardate alle quotazioni, potete anche farvi un’idea di che livello di prezzi serve per arrivare grosso modo a questo risultato.

Pure ammettendo che il prezzo del petrolio rimanga ai livelli attuali, per mantenere il nostro livello attuale di saldo corrente, il cui attivo ci garantisce una importante stabilità finanziaria, dobbiamo continuare a esportare come stiamo facendo e, possibilmente, anche meglio, sperare che i cambiamenti annunciati di politica monetaria impattino poco sui nostri investimenti esteri, dai quali dipendono i redditi primari e, soprattutto, dovremmo provare a invertire alcune partite storiche sulle quali siamo ancora deficitari (lo eravamo anche sui redditi primari). La candidata naturale a questa inversione è quella dei servizi, visto che è improbabile cambiare segno a quella dei redditi secondari, che includono, ad esempio, le rimesse degli immigrati.

L’economia dei servizi, peraltro, è quella dove si concentrano possibilità e aspettative di crescita. In un articolo pubblicato alcuni mesi fa trovo un grafico che rappresenta bene la situazione del nostro paese nel confronto internazionale.

Come si può osservare il nostro export di servizi pesa poco più del 2% sul totale globale e non basta neanche a evitarci una posizione deficitaria. In sostanza, mentre siamo i decimi esportatori al mondo di beni, non riusciamo a superare il quindicesimo posto nella graduatoria dei servizi, che pesano circa il 18% del nostro export complessivo a fronte di una media internazionale del 23. Le prospettive, secondo Sace, sono tuttavia in miglioramento. L’istituto stima una crescita annua dell’export di servizi al 4,3% a fronte del 4% per i beni da qui al 2020. Dal 2019, il valore dell’export dei servizi, attualmente intorno ai 95 miliardi, dovrebbe superare i 100. Ma certo, sarebbe interessante capire se, oltre a questi andamenti “prevedibili”, fosse possibile imprimere una spinta a un settore che si dimostra sempre più vitale nelle economie moderne. Peraltro, sembra che abbiamo anche le carte in regola per provarci. Basti considerare che circa il 40% dei nostri attuali introiti sui servizi deriva dal turismo.

Tuttavia è chiaro che occorrerebbe una robusta analisi preliminare, per capire ad esempio dove si collochino i nostri deficit sui servizi – alcuni puntano l’indice sul settore finanziario – e quali potrebbero essere eventuali punti di forza da sviluppare, ricordando che i paesi emergenti, India e Cina in testa, stanno approfittando delle opportunità offerte dallo sviluppo digitale per far salire rapidamente la loro quota di export di servizi sul totale del loro commercio estero. Trattandosi in molti casi di produzioni ad alto valore aggiunto, peraltro, puntare sui servizi farebbe bene alla nostra produttività complessiva e quindi alla crescita.

Ecco, di tutto questo mi piacerebbe si parlasse in campagna elettorale, almeno quando si parla del futuro del paese, invece che dell’ennesima bufala fiscale. Ma temo che dovrò rassegnarmi a parlare da solo.

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giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer

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