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Sabato, 13 Dic 2025

di Roberto Tomei

Sulla stampa di informazione, sui siti Internet e persino sui blog è esplosa in questi ultimi mesi la  "questione " della lingua italiana, quasi certamente il più importante tra gli elementi unificanti del nostro come, del resto, di qualunque altro paese.

Com'è noto, Il Foglietto alla lingua (intesa come l'insieme di lessico, grammatica e sintassi) ha sempre attribuito molta attenzione, spesso segnalando errori, omissioni, se non addirittura strafalcioni dei suoi interlocutori, che non hanno fatto mai mancare, e c'è un ragionevole affidamento che non faranno mancare nemmeno in futuro, ampio materiale su cui intrattenere i lettori.

Che si sia aperta la questione della lingua non può, quindi, che farci piacere, essendo stata questa una nostra non troppo celata battaglia, che a questo punto, con un po' di orgoglio, possiamo quasi definire d'avanguardia. Naturalmente, senza rivendicare meriti che non abbiamo. Ed infatti, a voler fare un po' di storia, il campanello di allarme sullo stato della nostra lingua è stato suonato da Nencioni e Devoto (sì, l'autore con Oli del famoso dizionario) già nei lontani anni settanta, anche se fino a pochi anni fa il tema non aveva incontrato l'interesse che meritava, venendo ignorato, ovvero osteggiato, con l'accusa di purismo, rivolta contro coloro che cercavano di agitarlo. Trionfava, per dirla in  breve, una sorta di "laissez faire" linguistico, sicché, anziché fare attenzione al lessico ed alla grammatica prevaleva la linea della libertà linguistica, ossia del "lasciare la lingua ai parlanti".

A dar man forte a tale "scuola di pensiero" ha concorso anche la classe politica, forse convinta che, comportandosi in modo linguisticamente disinvolto, potesse ottenere maggior consenso, ma soprattutto la televisione, senz'altro la più dolorosa espressione della degenerazione linguistica del nostro tempo. A stare davanti la televisione si vede ma anche si sente di tutto: volgarità inutili, dialetti sbandierati, orrori grammaticali, il latino pronunciato come fosse inglese. Memorabile il caso di iter (legislativo) letto aiter!. Come non definire colpa grave, poi, quella di certi scrittori che non sanno scrivere e di certi professori universitari che, quando mettono mano alla penna,  scrivono peggio dei loro allievi! Due categorie che, quando si comportano così, anziché contribuire, come pure dovrebbero, a salvaguardare e sviluppare la lingua, ne stanno favorendo il degrado.

Se questo è il brutto ritratto dello stato attuale della lingua erede dell'idioma gentile (si dice che Carlo V parlasse in francese con le donne, in tedesco con i cavalli, riservando l'italiano per gli angeli), si capisce come i  timori di cui si è detto trovino più di un fondamento e spieghino il tentativo di salvare la nostra lingua ricorrendo addirittura ad una legge (allo stato, è ancora un disegno di legge, cosiddetto Frassinetti, dal nome del suo presentatore alla Camera). C'è tuttavia da chiedersi se una lingua si possa "rifondare" con una legge. Siamo convinti che si tratti di un compito immane, da non lasciare soltanto alla scuola ma da affrontare insieme a stampa, editoria e televisione, considerato il loro importante ruolo di veicoli di modelli linguistici.  
1 - continua

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