di Roberto Tomei
Mentre all'estero cresce l'interesse per la lingua italiana - che talvolta, come in Giappone, si estende alla cultura - per "competenze linguistiche" le classifiche internazionali (Ocse-Pisa) collocano i nostri giovani agli ultimi posti.
Da qui l'appello su "Lingua italiana, scuola e sviluppo" lanciato di recente da due tra le più prestigiose accademie italiane, i Lincei e La Crusca, per salvaguardare la ricchezza lessicale e grammaticale della nostra lingua nazionale.
Nell'appello si afferma che "una conoscenza della lingua materna sicura e ricca, che non si limiti ai bisogni comunicativi primari, elementari…è una precondizione per un Paese civile". Sicura e ricca, appunto. E se ricchezza è sinonimo di un lessico articolato e che continuamente può incrementarsi di nuovi termini, sicurezza significa possesso della grammatica, prima, e della sintassi poi, cioè delle regole di base per costruire qualunque discorso intriso di termini più o meno sofisticati.
Mentre l'elaborazione di un discorso di tal fatta passa soprattutto per la conoscenza della letteratura, il possesso della grammatica e della sintassi esige invece l'acquisizione delle rispettive regole. Un "dominio" che, purtroppo, è tutt'altro che scontato, talora persino tra le persone acculturate.
Si spiega così come mai qualche anno fa uno dei nostri più eminenti studiosi, Francesco Sabatini, già presidente dell'Accademia della Crusca, abbia pubblicato un saggio dal titolo inequivocabile, ossia "Lettera sul ritorno alla grammatica". Questa, in sostanza, viene identificata come una sorta di linea del Piave, che richiede, come tale, una difesa a oltranza.
Non si deve pensare che possano sorgere al riguardo problemi insormontabili per la cospicua presenza di classi multilingue, che continuano a crescere su tutto il territorio nazionale, come conseguenza dell'imponente immigrazione di questi ultimi anni. Al contrario, si è autorevolmente sottolineato che "tutto ciò che vale nell'insegnamento dell'italiano agli stranieri, serve a maggior ragione per i parlanti nativi" (C. Morello).
Vista la situazione attuale, insomma, gli italiani non possono che trarre giovamento dalla presenza degli stranieri, che permetterebbe un po' a tutti di consolidare meglio le proprie basi. Che è poi, mutatis mutandis, ciò che sosteneva Giovanni Paolo II quando, nel trattare della crisi della fede, diceva che l'evangelizzazione va fatta innanzitutto in Italia.
La difesa della grammatica attraverso il suo insegnamento, peraltro, significa non solo mantenere salde le strutture elementari della lingua ma assicurare a tutti una base unitaria per capire e farsi capire, a livello sia di lingua scritta che parlata. Ed è proprio da questa, per migliorare quella, che è consigliabile partire.
Avendo preso atto che il linguaggio corrente, non solo di giovani e giovanissimi, è ben lontano da quello insegnato a scuola, deve essere la scuola stessa, intesa come classe docente, a credere per prima - diversamente da quanto spesso avviene - nell'insostituibilità della grammatica. Nient'altro, dunque, che il "medice cura te ipsum", nella sua variante medievale secondo cui "il buon medico è colui che sa curare le proprie ferite".
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