Gli apostoli della società (e dell’economia) digitale, quelli che ci almanaccano continuamente su un futuro sempre più immateriale, dovrebbero leggere un bel paper diffuso dalla Hinrich Foundation che si ricorda una verità tanto banale quanto avvilente per gli spiritualisti contemporanei: il mondo di Internet ha radici che affondano robustamente nella realtà fisica.
“La moderna Internet – ci ricorda il paper – è spesso immaginata come un mezzo disincarnato. Il ‘cloud’ è, in realtà, creato da pile su pile di server in magazzini caldi e bui. Mentre in passato era stato facile trascurare il ruolo dei data center, delle linee elettriche e dei cavi sottomarini nel consentire l’economia moderna, l’avvento dell’intelligenza artificiale, la crescita esponenziale nella creazione di dati e il crescente valore strategico dei dati significano che non è più sostenibile ignorare la fisicità del mondo virtuale”.
Benvenuti nella realtà, dunque, dove sabotare un cavo sottomarino, come è avvenuto di recente nel Baltico, mette a repentaglio i nostri preziosissimi dati. E dove servirà sempre più energia, molto fisicamente prodotta, per alimentare questi server affamati. Tanto più domani quando l’ennesima mitologia imperante, quella dell’intelligenza artificiale, chiederà il pagamento del suo prezzo. Che ovviamente, essendo artificiale, è squisitamente energetico.
Il grafico che apre questo post non ha bisogno di molti commenti. I data center, dove abitano anche i carissimi Bitcoin e i loro fratelli, sono sempre più smaniosi di conquistare spazi fisici e risorse energetiche. Quanto a queste ultime, i dati dell’IEA, relativi al 2022, osservano che data center, Criptovalute e intelligenza artificiale hanno assorbito l’1,5% del consumo globale di energia. Sembra poco, ma per il 2026 si prevede che questa quota raddoppierà.
Questo costringe le grandi compagnie tecnologiche a pianificare investimenti sempre più massicci per fare fronte a questi appetiti. Il paper calcola che Amazon prevedeva di investire 75 miliardi quest’anno, quando erano 48 miliardi nel 2023, in gran parte proprio per alimentare i suoi data center, mentre Microsoft e Google, i grandi creatori di cloud globali, non sono da meno.
D’altronde, come dar loro torto? Secondo i dati raccolti dal paper, dal 2010 a oggi il numero degli utenti Internet in tutto il mondo è più che raddoppiato e il traffico sulla rete è aumentato di 25 volte. Si stima che ogni giorno 125 mila nuovi utenti si aggiungano al coro degli internauti, il cui consumo di dati passerà dai 9,2 giga mensili del 2020 ai 28,9 dell’anno prossimo.
I data center globali dovrebbero arrivare a 5.700 quest’anno per toccare gli 8.400 entro il 2030. Un’industria che secondo alcuni osservatori arriverà a superare i 600 miliardi di dollari di valore nel 2029. I consumi elettrici di queste idrovore energetiche sono visti in crescita costante. Il gestore elettrico cinese, ad esempio, prevede che la domanda di energia dei propri data center raddoppierà entro il 2030 rispetto al 2020.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, questa fame energetica è destinata a crescere. Il paper calcola che al momento una qualunque ricerca su Google richieda 0,3 Watt per ora di consumo (Wh). Una richiesta a ChatGpt ne richiede 2,9. Pensateci quando chiedete al vostro computer un consiglio sui regali di natale.
In questa moderna corso all’oro digitale, la geografia e la politica minacciano sempre più di far valere le proprie istanze. La fame di dati, infatti, trova nella zona asiatica, dove abitano miliardi di persone, il suo bengodi. Solo che, in quella regione, esistono diverse complessità che nemmeno i superportafogli delle Big Tech riescono ad appianare.
Posare cavi sottomarini nella zona del Sud Est asiatico, dove sta sorgendo il paradiso dei Data center, si sta rivelando sempre più difficile visto lo stato di latente conflittualità che da anni si consuma sul Mar cinese meridionale. E lasciamo da parte il discorso su Taiwan.
Si stima che sotto gli oceani ci siano 1,4 milioni di cavi sottomarini, sui quali viaggia il 99% del traffico internet globale con transazioni finanziaria quotidiane che superano i 10 trilioni di dollari. Proprio nella regione del Sud Est Asiatico si prevede la maggiore concentrazione, fra il 2024 e il 2026, di investimenti per la posa di cavi.
Come se non bastasse, la grande fame energetica sta spingendo i giganti del web a ricorrere a strategie non convenzionali di approvvigionamento, come l’energia nucleare, che aggiungono un’altra variabile difficilmente prevedibile all’equazione: il rischio ambientale in sostanza si amplifica. L’IEA stima che questa regione avrà bisogno di centinaia di miliardi di investimenti, circa 426 miliardi, per incontrare la proprio futura domanda energetica.
Dulcis in fundo, c’è la questione degli spazi fisici e del consumo di acqua, visto che i server devono essere continuamente raffreddati. I data center consumano enormi quantità di suolo. E se questo può addolcire il sonno dei proprietari di immobili commerciali, alle prese con un mercato a dir poco complicato, al tempo stesso rischia di trasformare le città in deserti popolati da server. “I più grandi data center possono coprire milioni di piedi quadrati”, sottolinea il paper. Quanto all’acqua, si parla di consumi per milioni di galloni ogni anno. Tutti problemi che in un territorio come quelli del Sud Est asiatico, fortemente abitati, possono generare diverse complessità sociali.
Singapore ad esempio, uno dei più grandi luoghi di concentrazione dei data center in Asia, con 70 di queste strutture già operanti nel 2019, ha deciso una moratoria proprio per limitare l’impatto ambientale durata fino al 2022 e di recente ha varato una roadmap per consentire la creazione di datacenter green basati sulle energie rinnovabili.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”