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Lunedì, 02 Dic 2024

Forse è esagerato dire che nulla sarà più come prima, nel mercato immobiliare, dopo la pandemia. Ma qualche cambiamento strutturale probabilmente è intervenuto.

Così almeno pare leggendo la breve relazione pubblicata da Bankitalia che riporta le considerazioni del capo del dipartimento immobili della Banca. Un tecnico, quindi, che ha un’esperienza specifica e che vale la pena ascoltare, almeno relativamente ai cambiamenti nella parte direzionale del settore immobiliare. Quella, vale a dire, che riguarda gli uffici.

Tali considerazioni diventano interessanti nel momento in cui terminiamo il primo anno di pandemia. Un tempo breve, considerando che i cambiamenti strutturali di un mercato richiedono ben altre durate, ma molto profondo quanto agli impatti generati, ad esempio nel mercato del lavoro.

Non a caso il titolo della relazione include lo smart working fra le determinanti di questo cambiamento. Ma non solo. Il primo effetto della pandemia è stato quello di congelare il settore delle costruzioni, che forse più di altri ha subito gli effetti del lockdown. “I provvedimenti successivi hanno consentito la ripresa progressiva dei cantieri, sia pure con cautele e costi maggiori per la sicurezza e una diversa organizzazione del lavoro che si traduce, inevitabilmente, in una minore produttività”, dice il relatore.

Ma al di là della contingenza, “l’impatto più profondo dell’emergenza sanitaria si è registrato sul versante della domanda nelle sue diverse componenti: residenziale, per uffici, ospitalità, commerciale, logistica”.

E’ qui che la sensazione di trovarci di fronte a cambiamenti “non transitori ma strutturali” diventa quasi una certezza per molti operatori. Un altro effetto dello smart working, insomma, a causa del quale “le case tendono ad assomigliare di più ad uffici, dovendo ospitare postazioni di lavoro, e la conformazione degli uffici tende ad ispirarsi ai confort delle abitazioni”.

Da qui si sviluppa il primo degli effetti osservati: la “rivincita delle campagne sulle città, delle periferie sui grandi centri direzionali”, che si “si pone in discontinuità con la tendenza millenaria all’urbanizzazione, all’esodo verso i centri maggiori e all’esaltazione moderna delle downtown”.

In particolare, “tra aprile e marzo del 2020, le grandi città europee si sono infatti svuotate e vi è stata una fuga verso le seconde case e verso le residenze delle famiglie di origine. Questa tendenza sta lasciando un’impronta rilevante sulla domanda residenziale, sia per la struttura delle abitazioni sia per la loro collocazione nel tessuto urbano”.

Difficile dire se questa tendenza sarà duratura o no. Sappiamo però che ancora oggi “cresce la domanda di case con giardini e terrazzi, tipologia che, poi, è più agevole e meno costoso trovare, magari nella stessa regione, ma in centri minori o in zone di campagna”. Dovendosi spostare meno, le persone scelgono di stare lontano dai grandi centri urbani. Di conseguenza, “il modello tradizionale dei grandi condomini, senza aree comuni e dislocati sulle grandi arterie verso il centro delle città, sembra proprio in crisi a fronte di soluzioni abitative più aperte negli spazi, e più friendly nelle formule di vita”.

Ovviamente, “il principale motore della trasformazione in atto è lo smart working, nel duplice significato di home working e di smart office”. Un’evoluzione che sconta ancora alcuni ritardi, sia per l’esistenza di sostanziali digital divide nel nostro paese, sia per ragioni più spiccatamente culturali.

Il dibattito sul questa modalità di organizzazione del lavoro è ancora in corso, ed evidenzia luci e ombre. Rimane il fatto che “la strada dello smart working è tracciata e anche una volta superata l’emergenza sanitaria non è ipotizzabile un ritorno al passato”.

Nulla, quindi, sarà più come prima. E si tratta di capire come questo impatterà sul mercato degli immobili. A cominciare appunto da quello degli uffici. Se il ritorno al passato sembra improbabile, questo non vuol dire che gli uffici verranno abbandonati: sono troppi gli argomenti in favore del lavoro in presenza per essere ignorati. Più probabile che si vada verso un mix fra lavoro in presenza e da remoto, dal quale emergeranno nuove esigenze, come “la necessità di garantire in modo più robusto del passato la riservatezza e la continuità operativa dei servizi e delle connessioni informatiche, elevando conseguentemente il ruolo delle difese rispetto al cyber-crime”.

Questo mix prevederà anche una diversa organizzazione degli spazi, dove probabilmente prevarranno postazioni condivise al posto dei grandi open space o stanze singole. “Se le presenze in ufficio si verificano a rotazione, con una incidenza degli addetti in telelavoro che si ipotizza nel new normal non numericamente dissimile da quella dei colleghi in presenza, che senso avranno uffici in larga misura vuoti, a fronte di una spesa ormai comunque sovradimensionata?

Del resto l’attaccamento alla scrivania personale cade di fronte alla prospettiva di una maggiore elasticità della prestazione lavorativa e di giornate di lavoro più “agili” da casa”, spiega. A ciò si aggiunga che la digitalizzazione farà venire meno l’esigenza di grandi archivi cartacei.

Si arriva così all’unica conclusione possibile: gli spazi per uffici si ridurranno e di conseguenza la domanda di questi immobili, almeno per certe dimensioni. Lo smart working determina la nascita di smart office. Ossia strutture più piccole ma meglio organizzate.

Da un punto di vista puramente commerciale, ciò implica una riconfigurazione dei prezzi che non potrà che trasmettersi anche su settore residenziale. Se vado meno in ufficio ho meno interesse a vivere in una grande città. E se la “transumanza” verso la campagna dovesse durare, anche i prezzi residenziali nelle città ne risentiranno.

Nell’immediato, è più che ragionevole aspettarsi “una ulteriore fase di debolezza, mentre nel medio periodo potrebbero, prudentemente, prevedersi segnali positivi”. Sempre che la trasformazione in corso nel settore immobiliare prenda una direzione chiara e definita. Se i prezzi nelle città diminuiranno, è probabile che aumenteranno quelli nelle campagne, specie dove esistono collegamenti, digitali e di trasporto, efficienti.

Per converso, le città, sia a livello direzionale che commerciale – si pensi ai negozi o alle attività commerciali – rischiano di veder sparire molta domanda. Molto mattone inutilizzato, insomma. La qualcosa, in un paese che invecchia, rischia di essere l’ennesimo fattore di depressione di un mercato già messo a dura prova.

Maurizio Sgroi

giornalista socioeconomico
Twitter @maitre_a_panZer
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