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Lunedì, 02 Dic 2024

E’ stato di recente presentato il “Rapporto” dal titolo Finanza per la Guerra. Finanza per la Pace - Come alcune Banche eticamente orientate promuovono la pace in un mondo dai conflitti crescenti, realizzato da Merian Research.

La ricerca - che contribuisce alla “Dichiarazione di Milano: Manifesto per una finanza di pace”, che condanna ogni tipo di violenza e conflitto armato e sottolinea l’importanza del dialogo e della cooperazione come strumenti fondamentali per raggiungere una pace duratura - è stata commissionata dalla Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e da Global Alliance for Banking on Values (GABV).

Merian Research (merian-research.com), fondata nel 2009, è una società di consulenza strategica con sede a Berlino, in Germania, specializzata in due diligence, analisi del rischio reputazionale, intelligence sui media, ESG e proxy advisor. Dal 2019, realizza il “Report annuale sulla finanza etica e valoriale in Europa”, pubblicato dal Gruppo Banca Etica in collaborazione con FEBEA (Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative).

Viviamo sempre più in un mondo segnato da crescenti conflitti tant’è che, secondo l’International Institute for Strategic Studies, nel 2023 la spesa globale per la difesa è cresciuta del 9%, raggiungendo la cifra record di 22mila miliardi di dollari, un dato determinato soprattutto dall’aumento del 32% della spesa dei Paesi membri della NATO dal 2014 ad oggi.

In questa situazione, i principali istituti finanziari non svolgono soltanto un ruolo di intermediazione monetaria, ma sono coinvolti, traggono profitti dalla produzione e dal commercio di armi utilizzate nei conflitti in atto in tutto il mondo quando, invece, potrebbero essere agenti chiave del cambiamento se allocassero quelle risorse per ridurre le disuguaglianze, se investissero nell’economia e nell’ambiente.

Ma non tutte le banche sono uguali. Global Alliance for Banking on Values, infatti, è un movimento globale di organizzazioni leader nel settore bancario, composto da oltre 70 membri sparsi in 45 Paesi, nato nel 2009 con l’obiettivo di impiegare la finanza per affrontare le sfide principali del nostro tempo, come il cambiamento climatico e l’ineguaglianza sociale, nella convinzione che non può esserci pace, stabilità e crescita economica finché gli istituti finanziari continuano a finanziare la produzione e il commercio di armi.

Unico membro italiano è Banca Etica, società cooperativa per azioni, con sede centrale a Padova, dove 25 anni fa è nata, circa 50mila soci e 21 Filiali sparse sul territorio nazionale e anche all’estero, segnatamente in Spagna, con uffici a Bilbao, Barcellona, Madrid e Siviglia.

Il "Rapporto" ribadisce una realtà incompresa da chi governa nel mondo: “Tutti i dati suggeriscono che i conflitti armati possono essere interrotti solo se si adottano misure effettive per promuovere la pace”. In altri termini, se si fa prevenzione. Come? Favorendo lo sviluppo economico, come ribadito peraltro dall’Agenda per il Disarmo, il piano delle Nazioni Unite (ONU) per la sicurezza integrale. In essa si dimostra che la proliferazione delle armi, anche nei paesi non in guerra, influenza negativamente tutti gli ambiti della vita umana, minando il conseguimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nel Programma d’Azione per le Persone, il Pianeta e la Prosperità, firmato nel 2015 dai governi dei 193 stati membri dell’ONU.

Ma v’è di più, un’analisi condotta dall’International Peace Bureau traduce il costo di specifici armamenti in termini di beni e servizi sanitari: una fregata europea multiuso (FREMM) equivale al salario di 10.662 medici per un anno (media dei paesi OCSE); un caccia F-35 equivale a 3.244 letti di terapia intensiva; un sottomarino nucleare classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze.

E dire che la pandemia sembrava aver insegnato qualcosa ai governanti del Pianeta!

Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), che dal 1966 svolge ricerche sulla sicurezza internazionale e sugli armamenti, le risorse destinate alla difesa militare a livello globale da parte dei governi ammontano a poco più di 2.240 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato, pari al 2,2% del PIL mondiale. I governi di tutto il mondo hanno speso in media il 6,2% dei loro bilanci per scopi militari, pari a 282 dollari per persona all’anno. Basterebbe la metà di queste risorse per garantire cure sanitarie di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra.

Tra il 2020 e il 2022, gli istituti finanziari - inclusi importanti banche, grandi compagnie di assicurazioni, fondi di investimento, fondi sovrani, fondi pensione e istituzioni pubbliche - hanno sostenuto l’industria della difesa con almeno mille miliardi di dollari. Queste stime probabilmente sono significativamente inferiori rispetto ai dati reali, poiché non esiste un database ufficiale che raccolga tutti i dati relativi al flusso di denaro destinato dalle banche all’industria degli armamenti.

Una situazione che, se da un lato ha generato inflazione e impoverimento delle popolazioni dei paesi che più spendono in armi, dall’altro, ha determinato la crescita del valore azionario delle società produttrici di armi quotate in borsa. Nel 2023, l’indice globale MSCI per le azioni del settore è aumentato del 25%, mentre l’indice europeo Stoxx per le azioni aerospaziali e della difesa è cresciuto di oltre il 50%.

Ad aggravare la situazione v’è il dilagare della corruzione nel settore della difesa. Secondo il Rapporto SIPRI, l’industria militare sarebbe responsabile di oltre il 40% della corruzione globale.

Ma a finanziare le industrie produttrici di armi non sono solo le banche ma pure società di assicurazioni, fondi di investimento, fondi sovrani, fondi pensione e istituzioni Pubbliche, con più di 959 miliardi di dollari, attraverso diverse forme di finanziamento, quali prestiti, detenzione di obbligazioni, partecipazioni azionarie e sottoscrizioni.

Cifre approssimative, basate su dati pubblici limitati, perché nel settore non regna certo la trasparenza.

I primi 12 istituti finanziari che investono nei produttori di armi sono tutti statunitensi, contribuendo con quasi 500 miliardi di dollari all’industria delle armi. I primi 10 investitori europei hanno contribuito complessivamente con 79 miliardi di dollari, pari al 8% del totale.

Tra i primi 100 istituti finanziari, che contribuiscono complessivamente al 89% del finanziamento totale al settore delle armi, non ci sono investitori provenienti dall’Africa o dall’America Latina.

Secondo il Rapporto delle Ong PAX e ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari), “Untenable investments Nuclear weapon producer and their financiers” del 2024, le 15 maggiori banche in Europa investono 87,72 miliardi di euro in aziende di armamenti che vendono armi a Stati coinvolti in violazioni dei diritti umani o in conflitti armati e finanziano la produzione di armi ad alto impatto, comprese quelle nucleari.

Tra gennaio 2021 e agosto 2023, 287 istituti, distribuiti in 28 paesi, hanno erogato complessivamente 820 miliardi di dollari alle prime 24 aziende produttrici di armi nucleari quotate in borsa, la maggior parte delle quali non hanno firmato il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), entrato in vigore nel 2021. Tuttavia, al momento, nel mondo ci sono anche 100 istituti finanziari che hanno completamente escluso qualsiasi coinvolgimento finanziario con i produttori di armi nucleari

Come sono distribuiti gli investitori? Più della metà, 154 per la precisione, hanno sede negli Stati Uniti; 17 nel Regno Unito, 16 in Cina, 13 in Canada, 12 in India e 9 in Italia. I dieci principali investitori provengono tutti dagli Stati Uniti e insieme hanno fornito alle aziende di armi nucleari quasi la metà dell’investimento totale.

Il tipo di investimento più comune è il possesso di azioni, che ammonta a circa 471 miliardi di dollari, seguito dai prestiti con 264 miliardi, dalle sottoscrizioni con 79 miliardi e dal possesso di obbligazioni con 6 miliardi. Insomma, v’è stata una transizione negli investimenti da prestiti e obbligazioni all’investimento azionario aumentato del 4%.

Ad agosto 2010, è entrata in vigore la Convenzione sulle Munizioni a Grappolo (CCM20), che vieta l’uso, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di munizioni a grappolo e qualsiasi forma di assistenza a tali attività. Ad oggi, 123 Stati hanno aderito alla Convenzione. Tuttavia, non c’è un consenso unanime riguardo al divieto degli investimenti nella produzione di tali munizioni, atteso che solo 38 firmatari le hanno proibite. Altri Paesi - come Germania, Giappone e Svezia – non sono d’accordo. Per questo motivo, diversi Stati hanno adottato leggi specifiche di disinvestimento e per vietare esplicitamente gli investimenti in queste armi. Il Belgio, nel 2007, è stato il primo paese a farlo, seguito da Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Saint Kitts e Nevis, Samoa, Spagna e Svizzera.

Inoltre, alcuni fondi pensione governativi in Australia, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia hanno eliminato completamente, o parzialmente proibito, gli investimenti in aziende produttrici di munizioni a grappolo.

Tuttavia, nel 2020, v’erano ancora 88 istituti finanziari che avevano investito circa 9 miliardi di dollari in sette di queste aziende, con sede in Brasile, India, Cina e Corea del Sud, Stati che non hanno firmato la convenzione contro la produzione di munizioni a grappolo.

Con la guerra in Ucraina, la lobby delle armi e alcuni istituti finanziari hanno approfittato della situazione per sostenere che le aziende di difesa dovrebbero essere considerate nell’ambito degli investimenti ESG (Ambientale, Sociale e di Governance). Nel novembre 2023, i Ministri della Difesa dell’UE hanno sottoscritto una Dichiarazione Congiunta per potenziare l’accesso al finanziamento dell’industria della difesa. La ragione? Per la sua capacità di promuovere la pace, la stabilità e la sostenibilità in Europa (sic!)

Nel 2021, l’Italia ha promulgato una legge che vieta il finanziamento delle aziende coinvolte nella produzione di mine antiuomo, bombe a grappolo e singoli componenti.

Durerà o anche questa legge, al pari di altre leggi giuste, verrà spazzata via in nome dell’economia di mercato e del profitto, come sta avvenendo per la legge 185/90, che vieta la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia, e impone di rendere pubblico l’elenco delle banche impegnate in tali attività?

Adriana Spera
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