Con l’entrata in vigore delle nuove regole europee del Patto di stabilità, il Piano strutturale di bilancio (di medio termine), più brevemente Psb, ha sostituito la nota di aggiornamento al Def (Documento di Economia e Finanza).
Si tratta di una novità sostanziale che crea un solco con il passato, anche per la contemporanea revisione straordinaria operata dall’Istat sui Conti Nazionali e dalla Banca d’Italia sul debito pubblico, che hanno modificato i numeri fino ad ora conosciuti.
La prospettiva di crescita del Pil per il 2024, confermata nel Psb all’1%, non tiene conto della successiva revisione al ribasso delle stime per i primi due trimestri. Considerando anche i segnali non incoraggianti per la seconda metà dell’anno, tutto lascia ritenere che il Pil possa crescere quest’anno meno dell’uno per cento.
Il 2025 sarà caratterizzato da uno scarso trascinamento del 2024 e il Pil è previsto in aumento di 1,2%, in attesa delle stime della Commissione europea che potrebbero essere anche meno favorevoli (l’Autumn Forecast sarà rilasciato ai primi di novembre).
Il Psb si concentra soprattutto sul nuovo vincolo della spesa primaria netta (non oltre l’1,5% in media nei prossimi sette anni), che va ad aggiungersi a quello dell’indebitamento al di sotto del 3% (l’Italia è attualmente sotto procedura di infrazione) e al debito pubblico che dovrà ridursi di almeno un punto percentuale l’anno rispetto al Pil.
Continua ad essere ignorato il tema della sostenibilità ambientale, ormai divenuto centrale nel dibattito internazionale, che non viene però associato alla crescita del Pil e ai vincoli di finanza pubblica.
I confronti rispetto al Def e alle stime di primavera della Commissione europea sono alterati dal ricalcolo dei conti nazionali operato dall’Istat, che ha rivisto al rialzo il Pil degli ultimi anni, con effetto di trascinamento sugli anni a seguire, i cui livelli sono ora ben maggiori.
Rispetto al Def, l’indebitamento nominale per il 2024 è passato da 94 miliardi di euro a 82,6 miliardi (dal 4,3% al 3,8% del Pil), con un aumento di 10 miliardi delle entrate (grazie al maggior gettito tributario) e una contrazione di quasi 1,3 miliardi delle uscite.
Per la prima volta dal 2020, l’avanzo primario tornerà positivo nel 2024, per poi consolidarsi negli anni a venire. La spesa per interessi, che ha toccato il suo massimo nel 2022, a causa soprattutto dei titoli indicizzati all’inflazione, dovrebbe beneficiare negli anni a venire del percorso di riduzione dei tassi di interesse, intrapreso quest’anno dalla Bce dopo che l’inflazione è tornata a rispettare il target del 2%.
La pressione fiscale passata dal 41,5% del 2023 al 42,3% del 2024, dovrebbe crescere negli anni a venire di un ulteriore mezzo punto.
Anche i dati di finanza pubblica corretti per il ciclo economico sono stati rivisti e l’output gap (tra il Pil reale e quello potenziale) resta inferiore alle stime della Commissione europea (+0,9% contro +1%), con l’indebitamento strutturale al -4,4% quest’anno e al -3,8% nel 2025.
Negli ultimi anni, l’aumento del Pil nominale dovuto all’inflazione ha consentito di ridurre in termini relativi il debito pubblico dal 154,3% del 2020 (l’anno del lockdown pandemico) al 134,8% del 2023. A partire da quest’anno e fino al 2026, è però destinato a crescere, per le ripercussioni in termini di cassa dei crediti fiscali sui bonus edilizi. A partire dal 2027, inizierà il percorso di discesa che, nelle previsioni (come sempre ottimistiche) del Governo, dovrebbe portarlo al 113,7% del Pil nel 2041.
In termini assoluti, il debito pubblico però aumenterà nel 2024 di altri 105 miliardi di euro, avvicinandosi sempre più alla quota di tremila miliardi che sarà superata nel 2025.
Il sentiero assai stretto tracciato dal Psb, per tenere sotto controllo i conti pubblici nel rispetto dei vincoli europei di bilancio, lascia pochi margini di manovra e le prospettive per i prossimi anni appaiono tutt'altro che rosee.
Franco Mostacci
ricercatore statistico, analista economico, giornalista pubblicista