Adesso che abbiamo più chiaro come sia organizzata la filiera che produce i servizi di Intelligenza Artificiale (IA), dobbiamo guardare dentro i vari livelli che abbiamo esplorato nell'articolo precedente e vedere chi ci abita. Chi sono, insomma, i campioni di mercato che rendono possibile questa innovazione.
Al primo livello, l’hardware, troviamo il gigante dei microprocessori Nvidia, leader nella produzione di GPUs e di software che servono i programmatori di IA. Per uno di quegli incredibili eterogenesi dei fini, Nvidia una volta era famosa perché i suoi chip facevano alimentavano il mercato dei videogiochi. Adesso, dopo alcune intelligenti acquisizioni e un evidente vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti, la società ha una quota di mercato sulle GPUs superiore al 90%, che le ha permesso di vedere crescere i propri ricavi del 405% fra il 2023 e il 2024.
Questa primazia non ha scoraggiato i competitor. I grandi giganti di internet, americani e cinesi, sono impegnati nella progettazione di processori per l’IA, ma per il momento le possibilità che insidino il dominio di Nvidia sono scarse. Per la cronaca, vale la pena ricordare che Nvidia produce i suoi processori presso la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che origina più del 60% di tutti i semiconduttori a livello globale e oltre il 90% dei semiconduttori più avanzati. Ciò significa, in pratica, che l’hardware che fa girare l’IA si regge su una gamba sola, per giunta allocata in un posto abbastanza complicato.
Il panorama dei servizi di cloud, il secondo livello dell’IA, è più composito. Qui la concentrazione si distribuisce fra tre grandi giganti del web: Amazon Web Services (AWS), che controlla il 31% del mercato, Microsoft Azure, con il 24% e Google Cloud Platform, con l’11%. Nell’Ue la quota di mercato di AWS e Azure, nel 2020, arrivava all’80%, con buona pace per chi pensa che l’Europa abbia un futuro di hi tech proprietario.
Se puntiamo l’attenzione sul segmento IaaS dei servizi cloud, ossia quello più strategico per l’IA, il mercato è ancora più concentrato: nel 2023, AWS, Microsoft Azure e Google Cloud Platform insieme rappresentavano quasi il 74% del mercato globale in Europa. In India arrivano addirittura all’87%.
I giganti del web hanno potuto godere di un notevole vantaggio anche nel settore del training data, ossia dell’addestramento dei modelli IA, in ragione del fatto che hanno enormi quantità di dati proprietari originati dai servizi che offrono in rete. Si pensi solo ai social network.
Se saliamo ancora di livello, e guardiamo ai modelli di intelligenza artificiale (foundation model), il mercato è assai più popolato. Sono stati censiti 300 modelli forniti da 14 diverse aziende, e poi ci sono modelli alternativi costruiti da aziende che hanno realizzato versioni proprietarie, come OpenAI e Google DeepMind. Altri, come Facebook, si sono orientati su modelli aperti – Meta, con Llama e la cinese DeepSeek – ma in ogni caso il mercato appare chiaramente dominato da pochi soggetti. Nel 2023, ChatGpt pesava il 69% nel mercato dell’IA generativa, in termini di ricavi. Può essere un risultato molto precario, viste le caratteristiche di questo mercato. Ma intanto è un fatto che conferma la vocazione dei mercato IA, a tutti i livelli, alla concentrazione.
Proprio questa caratteristica dà l’ennesimo enorme vantaggio ai giganti del web, che di concentrazione se ne intendono. Quindi parliamo delle grandi aziende americane e cinesi che, di fatto, primeggiano – con la notevole eccezione dell’hardware – in tutta la filiera dell’IA. E non a caso. Le Big Tech stanno investendo pesantemente nell’IA: nel 2023 questi investimenti pesavano il 33% del totale. E poi generano molte partnership con start up: si pensi solo ai 10 miliardi di dollari investiti da Microsoft in OpenAI.
E’ chiaro a tutti che un concentrazione così elevata di potere porta con sé molti rischi, oltre a quelli che derivano normalmente da un modello di oligopolio monopolistico, intanto in termini di possibilità di scelta per i consumatori. Quando parliamo di Big Tech dobbiamo pensare anche ai cyber rischi, e visto che balla una tecnologia dagli esiti imprevedibili come l’IA dobbiamo mettere nel conto anche rischi impliciti per adesso neanche troppo chiari. E poi ci sono anche rischi finanziari globali, visto che questa concentrazione di potere corrisponde a notevoli capitalizzazioni di borsa.
Insomma, c’è molto lavoro per i regolatori, a tutti i livelli. Per giunta in un contesto che è transfrontaliero per vocazione, in un tempo in cui sembrano rinascere le cortine di ferro.
In queste condizioni, per evitare che dall’innovazione scaturiscano dei danni servirà molta intelligenza. E non solo artificiale.
(2/fine)
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”