Tremila euro annui ciascuno da distribuire a 15mila tra ricercatori e associati, ossia meno della metà della platea, mentre i professori ordinari rimangono, non si capisce perché, a bocca asciutta.
E' questa, in sintesi, la novità contenuta nella legge 11 dicembre 2016, n.232, recante "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019".
Qui al Foglietto cerchiamo di fare del nostro meglio per scovare le notizie, ma, pur venendoci riconosciuto il ruolo di occhiute vestali della ricerca, questa volta non abbiamo nessuna difficoltà a confessare candidamente che la scoperta del predetto tesoretto, stanziato "per incentivare le attività base di ricerca", l'abbiamo fatta soltanto per caso, nascosto com'è nei commi dal 295 al 302 dell'art.1 della citata legge di stabilità che, complessivamente, ne contiene 638!
Dopo aver letto il contenuto dei predetti commi, lo stupore cresce, ove si pensi che per elargire i tremila euro annui è stato addirittura escogitato un complicato algoritmo, da più di qualcuno percepito come espressione di un riveniente centralismo, in barba alla tanto celebrata autonomia delle Università.
Sarebbe interessante poter quantificare le effettive ricadute sulla ricerca di questo tesoretto. I soliti malevoli hanno fatto due conti: 3.000 euro l'anno fanno 250 euro al mese, pari a poco più di 8 euro al giorno. E' quel che i francesi definiscono argent de poche, col quale a malapena si possono comprare le sigarette e far colazione al bar.
Messa giù così è forse un po' brutale, ma pure affermare che si tratta di un contributo alla ricerca ci sembra assai azzardato.