Trump ha vinto nettamente. Per capire l'estensione della sua vittoria, che già ora è completa al Senato e nel voto popolare, sono per aspettare i risultati definitivi. Tuttavia già adesso è possibile fare alcune considerazioni.
La prima. Gli americani votano sempre guardando alla propria condizione economica. Nel 1992 diedero inaspettatamente la vittoria al democratico Clinton perché le cose andavano per loro male economicamente, invece di dare la vittoria a Bush padre reduce vittorioso nella prima guerra nel Golfo, con copertura Onu, contro Saddam Hussein. Su questa scia, che non riguarda solo gli americani, si potrebbe anche ricordare quel che successe a Churchill nel luglio del 1945.
La seconda. Il bolcco sociale che ha dato una vittoria trionfale a Trump si è molto esteso rispetto a quello del 2016. Va dai miliardari e del ceto medio alto, cui ha promesso la solita riduzione di tasse, ai ceti popolari che promette di proteggere con i dazi. Non è stata più la sola "rush belt", la cosiddetta cintura della ruggine, a dargli la vittoria negli stati chiave, come con la Clinton. Rispetto a questo il tentativo della Harris di spostare il confronto su altri terreni, pur decisivi e importanti, come i diritti delle donne, o le visione alternativa dell'America puntando sulle minoranze, non ha sortito effetti. Trump ha fatto una campagna dove è vero che ne ha dette di tutti i colori ma il suo piatto forte sono state due cose. La domanda agli americani: state meglio di 4 anni fa? e la semplificazione efficacissima degli effetti dell'inflazione sui redditi popolari quando in un comizio si è presentato con le due confezioni di tac tac, una grande e una piccola, mostrandole come esempio dell'abbassamento del potere d'acquisto fra quando c'era lui alla Casa Bianca e quanto è successo con Biden-Harris.
La terza. Credo che i dem americani abbiano molto da riflettere sugli errori tattici e strategici compiuti e molto da cambiare nelle loro impostazioni politiche generali non solo sociali ma anche sul piano internazionale.
La quarta. Tutte le considerazioni, per cosi dire sovrastrutturali, in senso gramsciano, sono, da parte di chi è strutturalmente anti trumpiano, importanti, in alcuni casi anche profonde, sia quelle storico-sociologiche che quelle di natura perfino psicologica, ma se divincolate dalle questioni economiche e sociali possono essere fuorvianti.
La quinta. La lezione che ogni sinistra di ispirazione progressista dovrebbe trarre dal voto americano è che se non si tengono i piedi ben piantati nella condizione sociale dei ceti popolari e nelle paure da loro percepite, non si contrastano adeguatamente le destre. E questo vale anche per il nostro paese.
Trump è un pericolo per la democrazia non solo americana, ma per combatterlo efficacemente occorre capirne le cause vicine e lontane e poi impostare una politica che metta in crisi il blocco sociale esteso che l'ha sostenuto.
A cominciare col distaccarvi i ceti popolari.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
facebook.com/aldo.pirone.7