di Roberto Tomei
Ma che c’azzecca avrebbe detto Antonio Di Pietro, prima di cadere in disgrazia, politica, s’intende. E sì, ma che c’entra con la rinomata Fabbrica d’Armi Pietro Beretta, l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), ente pubblico di ricerca che, in base all’art. 2 del proprio Statuto “promuove, coordina ed effettua la ricerca nel campo della fisica nucleare, subnucleare, astro particellare e delle interazioni fondamentali, nonché la ricerca e lo sviluppo tecnologico pertinenti all’attività in tali settori”?
Difficile dirlo. Sta di fatto, comunque, che con una delibera della giunta esecutiva, la n. 9880, in possesso del Foglietto, l’Istituto di piazza dei Caprettari lo scorso 26 giugno ha approvato una proposta di prestazione conto terzi con la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta s.p.a.
Nell’arco di 28 mesi, l’Infn dovrà portare a termine una ricerca denominata “Trattamenti di superficie tramite tecnica Magnetron Sputtering per la deposizione di film duri all’interno delle canne”, articolata in due Work Package (WP): uno studio di fattibilità su provette da sparo di soli 15 cm. (WP1) e l’estensione di quanto applicabile su provette da sparo alle canne reali di lunghezza fino a un metro (WP2).
A fronte di un compenso all’Infn di 40mila euro per ogni singolo Work Package, la Fabbrica d’Armi Beretta – che rifornisce anche l’esercito Usa - si riserva la titolarità sia dei risultati che dovessero derivare dallo svolgimento dell’attività di ricerca, suscettibili di trovare applicazione nei settori merceologici nei quali opera e che sono quelli delle armi portatili e dei relativi accessori, sia degli eventuali brevetti, fermo restando il diritto spettante agli inventori di essere riconosciuti autori.
L’accordo prevede, altresì, che qualora si passasse dalla fase della ricerca a quella della industrializzazione, la Fabbrica d’Armi si impegna a dare prelazione all’Infn per sviluppare in collaborazione tale seconda fase, previo adeguamento e ulteriore accordo commerciale ed economico.
Questi, per sommi capi, i termini dell’accordo, che sta suscitando forti perplessità sia all’interno che all’esterno dell’Istituto pubblico di ricerca.