A distanza di alcuni mesi Il Governo ha sciolto il quesito posto dall’Inps sulla rivalutazione annuale del montante contributivo, ovvero gli accantonamenti che gli attuali lavoratori stanno effettuando oggi per godere in futuro di una pensione.
La questione ha origine dal fatto che nel 2013, per la prima volta, il coefficiente di rivalutazione stabilito in misura pari alla variazione media quinquennale del Pil nominale è risultato inferiore all’unità, con la conseguenza che, se fosse applicato sic et simpliciter, l’ammontare dei contributi versati si ridurrebbe di valore, penalizzando i lavoratori.
Buon senso, vorrebbe, che in questo caso il montante contributivo resti quanto meno invariato. Questo l’auspicio che concludeva l’articolo di novembre scorso del Foglietto che, però, è rimasto inascoltato.
Con il Decreto Legge 21 maggio 2015, n. 65 recante disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR, il Governo ha risolto – a modo suo - il problema.
Il comma 1 dell’articolo 5 ha, difatti, modificato la legge Dini del 1995 sulle pensioni, quella che aveva introdotto il sistema contributivo e il relativo meccanismo di rivalutazione dei contributi pensionistici progressivamente accumulati, affermando che il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo … non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.
In buona sostanza, a parte coloro che stanno per andare in pensione e ai quali lo Stato non farà in tempo a effettuare il recupero, tutti gli altri lavoratori subiranno un danno economico.
Il camouflage legislativo introdotto dal Governo aggira il principio di rivalutazione originariamente contenuto nella Legge Dini, in quanto - anche se maldestramente mascherato - il montante contributivo per un anno si riduce.
In altri termini si fa passare per onerosa (circa 12 milioni di euro) un'operazione che, invece, porterà futuri risparmi nelle casse dello Stato.
Un gioco delle tre carte in cui il duo Renzi-Padoan sembra ormai imbattibile.
Ai lavoratori più giovani non resta ora che sperare in un assai improbabile ravvedimento durante l’iter parlamentare di conversione del decreto legge 65/2015, che annulli l’ingiusta penalizzazione.
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