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Venerdì, 03 Mag 2024

Luigi Pirandello e Alberto EinsteinMentre tutto il mondo parla delle onde gravitazionali perviste da Einstein con 100 anni di anticipo, per un’associazione di pensiero mi affido alla parola relatività e per caso mi imbatto in un post, appena ricevuto, che mi ricorda della relatività di Pirandello e dei suoi 80 anni dalla morte.

Clicco in rete due parole, quelle che seguono: “relatività – Pirandello” e mi compaiono, tra le altre, le tante famose fotografie di Albert Einstein e Luigi Pirandello, insieme.

Mi chiedo: quante relatività e relativismi esistono in letteratura? Sfoglio la mia agendina personale sul telefonino e contatto un esperto di cultura europea e saggista teatrale: il filosofo Franco Ricordi.

In un incontro fugace fra i due in un camerino di teatro Albert Einstein disse a Luigi Pirandello: “Noi siamo parenti”, facendo riferimento alla relatività.

Ma a Pirandello, chi avvicinava il relativismo esistenziale dei suoi personaggi alla teoria della relatività di Einstein, lo faceva innervosire: « … ebbene, quei problemi erano unicamente miei, erano sorti nel mio spirito, si erano naturalmente imposti al mio pensiero. Solo dopo, quando i miei primi lavori apparvero mi fu detto che quelli erano i problemi del tempo, che altri, come me, in quello stesso periodo si consumavano su di essi. E oggi ancora io non conosco Einstein».

Proviamo a chiedere a Franco Ricordi cosa ne pensa di Pirandello e la relatività

Sarebbe molto lungo e difficile analizzare pedissequamente il senso della "relatività" pirandelliana in rapporto ad Einstein: tuttavia di primo acchito si può affermare che il grande gioco teatrale fra "l'essere" e il "non essere", che non si riferisce soltanto ad Amleto, ma tanto per fare un esempio alle ben 40 versioni di "Anfitrione" che sussistono dalla Grecia ad oggi, viene interpretato da Pirandello in un modo che si può definire "ulteriore": egli mette in crisi gli stessi rapporti interpersonali anche i più semplici - come fa ad esempio in una piccola scena del "Così è, se vi pare" quando Laudisi chiede al cameriere che gli sta di fronte se è proprio sicuro che quel signore che egli vede sia proprio lui - in modo poi da risalire ad una messa in crisi totale della verità, come sono in quella commedia le tre possibili versioni dello stesso fatto.

Questo "relativismo" letterario e artistico influenzerà moltissimo tutto il Novecento, fino ad arrivare ad un celebre film come "Rashomon", di Akira Kurosawa, o a certe commedie di Harold Pinter, come "La Collezione".

"I sei personaggi in cerca d’autore" andarono in scena per la prima volta al "Teatro Valle". Come reagì il pubblico?

E' evidente come anche un capolavoro come i "Sei personaggi in cerca d'autore" si situi nel medesimo percorso di ricerca, fino a realizzare quello che Peter Szondi definiva il "dramma impossibile", l'aver accettato e creato i personaggi ma l'aver contemporaneamente dato loro la "ragion d'essere".

E' evidente come la "prima" rappresentazione dei "Sei Personaggi" - nel 1921 - fu del tutto destabilizzante, tanto che il pubblico reagì negativamente, urlando addirittura "manicomio!".

Essa avvenne proprio al "Teatro Valle" di Roma, ma di lì a poco il dramma pirandelliano conquistò l'Italia e il mondo. Un fatto assai significativo, anche della vivacità e della possibilità dell'arte che nega sé stessa ma che, di fatto, si ricrea proprio così.  E certo, se si pensa oggi all'imbarazzante situazione in cui versa proprio il Teatro Valle, da 5 anni occupato senza venire a capo di alcuna questione, allora si comprende come le tenebre del nichilismo siano sempre più vicine a questa nostra epoca di disconoscimento culturale.

Quanto è stata importante per la drammaturgia pirandelliana la filosofia in teatro?

In tal senso Pirandello ha rinnovato una tradizione che esiste da sempre, la grande e fondamentale poetica drammaturgica della "filosofia a teatro": come scrisse il critico (poi marxista) Giorgy Lukacs, il dramma è il genere letterario più vicino alla filosofia, ma è anche quello che riesce ad esprimere questi concetti profondissimi nella maniera più diretta e più semplice all'essere-nella-massa che si crea con il pubblico.

Il dramma trasmette la filosofia "per tutti", in maniera che chiunque possa comprenderla, e anche Pirandello ha operato nello stesso modo: quando noi comprendiamo che Enrico IV non è veramente pazzo, ma sta fingendo (ricordo di averlo visto la prima volta sempre al Teatro Valle, ahimè, con il grande Salvo Randone), ecco che la grande questione tra realtà e apparenza, follia e filosofia, si coniugano in una storia assai semplice che può comprendere anche un bambino. Tanto più in quel caso il dramma diviene tragedia, pur rimanendo negli obbligati canoni borghesi, per i quali il "pazzo" alla fine è costretto a dover fingere quella sua stessa pazzia per tutto il resto dei suoi giorni.

Insomma, signori, grande teatro! Grande Teatro e grande linguaggio teatrale! E grande arte! Pur nella relatività e nella "differenza". Ma dove troviamo oggi un tale respiro?   

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