Dal libro "Roma '43-'44. L'alba della Resistenza", di Ado Pirone e di Sergio Gentili - Prefazione di Carla Nespolo - Ed. Bordeaux - 2019 - pp. 208, euro 15,20.
I PARTIGIANI ATTACCANO. Anche senza un’indicazione centrale per l’insurrezione le formazioni partigiane attaccano i tedeschi in ritirata in diversi punti della città. Sulla Cassia e sulla Flaminia, ai nazisti in fuga si mischiano anche i repubblichini fascisti, commissari, prefetti, ispettori, insomma tutta la gerarchia del fascismo romano. I carabinieri della “Banda Caruso” del Fmcr attaccano nella zona di Monte Mario, nei quartieri Appio e San Giovanni, sulla Portuense e sull’Aurelia. Nell’VIII Zona i partigiani combattono a Villa Certosa sulla Casilina, entrano in contatto con le truppe americane, indicano loro le postazioni dei nazifascisti e li aiutano a colpirle; catturano 60 soldati tedeschi e li fanno sfilare per via dei Lentuli al Quadraro. Alle 9 del 4 giugno tutta la zona è liberata.
Squadre Matteotti attaccano i tedeschi in via del Mandrione e sulla via Appia catturano alcuni soldati tedeschi, consegnandoli poi agli americani. Alla Stazione Ostiense i matteottini affrontano paracadutisti tedeschi.
A Monte Mario i patrioti assaltano una colonna di carri armati in ritirata. In via Magnanapoli gli azionisti attaccano fascisti della PAI e tedeschi, provocando 2 morti e 3 feriti al nemico. Praticamente in tutte le zone di Roma i partigiani colpiscono le retroguardie tedesche, disarmano i soldati e li consegnano agli americani. Le sedi fasciste sono assaltate e occupate dai patrioti; a via Tasso sono liberati tutti i prigionieri rimasti. All’Ostiense i partigiani della VII zona si dispongono a difesa di quel che resta degli impianti industriali e dei ponti sul Tevere, s’impadronisco delle scorte alimentari abbandonate dai nazifascisti e le distribuiscono ordinatamente alla popolazione affamata.
Mentre a sud le formazioni partigiane aiutano gli Alleati a procedere lungo le consolari Casilina, Tuscolana e Appia; a nord i combattenti del Gap Garibaldi del IV settore della I zona guidati da Antonio Leoni organizzano e pianificano l’insurrezione della borgata Ottavia. Appostano staffette a Capannelle, al Verano e alla Cecchignola. La mattina del 4 giugno, appena arriva la notizia che gli americani sono nei pressi di San Giovanni, iniziano i combattimenti. Nei giorni precedenti avevano preparato l’azione finale danneggiando le linee telefoniche telegrafiche e la ferrovia Roma –Viterbo; avevano sparso migliaia di chiodi a quattro punte, intimidito i presìdi nazisti con il lancio di bombe a mano. Alle squadre gappiste si uniscono molti cittadini che chiedono armi; si dirigono verso Monte Arsiccio direzione Roma dove i tedeschi resistono e poi si ritirano. Anche su via Trionfale al km. 14, i nazisti tentano un assalto ma vengono respinti dai patrioti. I partigiani fanno centinaia di prigionieri tedeschi che radunano nella Caserma Ulivelli. Il giorno dopo contattano gli angloamericani fermi alla Balduina facendo presente che il territorio fino a Cesano è già stato liberato.
L’ultimo partigiano a morire è un ragazzo di 12 anni, Ugo Forno. Al Nomentano tenta con altri giovani di impedire a guastatori tedeschi di far saltare il ponte ferroviario sull’Aniene. Ci riescono, ma Ugo cade sotto i colpi dei loro mortai. E’ la mattina del 5 giugno.
È GIOIA E FESTA. L’intervallo di tempo fra l’uscita degli ultimi nazisti verso nord e l’entrata dei primi soldati angloamericani da sud è solo di pochissime ore.
La sera del 4 giugno verso le 19,30, le truppe della V Armata americana, attraverso Porta Maggiore e Porta San Giovanni, entrano in Roma, nello stesso momento gli ultimi tedeschi lasciano la città dalla parte opposta, attraversando Ponte Milvio verso nord. Nella notte ancora uno scontro tra partigiani matteottini e fascisti in viale Angelico.
Il generale Clark arriva la mattina del 5 giugno con la jeep in piazza Venezia stracolma di folla festante. Vuole giungere in Campidoglio, ma si perde per Roma e si ritrova a piazza San Pietro dove chiede lumi sul percorso a un prete. Con la sua jeep raggiunge Piazza Venezia. I soldati yankee lanciano sigarette e cioccolata alla gente che li applaude. Il comandante della V armata sale in Campidoglio, bussa al portone del Palazzo Senatorio ma lo trova chiuso. Deve aspettare per farsi aprire. Intanto si concede ai reporter.
La città impazzisce di gioia. “Ovunque le truppe venivano festeggiate, applaudite e ricoperte di fiori. Una pioggia di rose cadde sugli uomini, sui cannoni, sui carri armati e sulle jeep”.
Era la fine di un incubo durato nove mesi.