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Mercoledì, 03 Lug 2024

RazzaBastarda di Alessandro Gassman, con Alessandro Gassman, Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Madalina Ghenea, Michele Placido, durata 95’, nelle sale dal 18 aprile 2013, distribuito da Moviemax

Recensione di Luca Marchetti

RazzaBastarda non è solo l’esordio dietro la macchina da presa dell’attore Alessandro Gassman, ma soprattutto una pellicola anomala.

Quest’opera prima, infatti, a differenza di molti altri prodotti della nostra industria cinematografica, con una dose di sana presunzione, non si accontenta di portare sullo schermo il solito “compitino ben fatto”, ma aspira, invece, a essere qualcosa di diverso.

Il motivo principale di tale dose di coraggio è da andare a individuare nell’adesione completa che Gassman prova per il materiale di partenza, la pièce teatrale di Reinaldo Povod Cuba and his Teddy Bear, già portata a Broadway, con enorme successo, da Robert De Niro. Il testo teatrale da diversi anni è diventato parte integrante della vita dell’attore romano che, dopo averla adattata in italiano e portata nei teatri di tutta Italia con il titolo Roman e il suo cucciolo, l’ha considerata la storia ideale sulla quale costruire il suo passaggio alla regia. Gassman con il suo protagonista, lo spacciatore romeno Roman, mette tutto se stesso in un’interpretazione impreziosita da un’immedesimazione assoluta, dovuta anche agli anni di frequentazione, tra attore e maschera.

L’accento etnico, la fisicità bestiale, la rabbia violenta e l’amore assoluto nei confronti di quell’unico figlio cui, lottando come una belva, vuole riservare un futuro migliore, sono il frutto di un lavoro maniacale e totale che il regista/attore ha elaborato in tutto questo tempo. E’, dunque, una conseguenza ovvia quella di vedere il film come un enorme e, in fin dei conti, riuscito one man show.

Gassman, infatti, giustamente si prende gli spazi e i tempi per mettere in mostra quel talento sottovalutato che una carriera spesso incastrata in ruoli monodimensionali o, peggio, dai pregiudizi di chi non lo vedeva mai uscire dall’ombra di un genitore immenso, gli ha impedito esprimere a pieno. Solo da quest’ottica si può comprendere a pieno, e assolverla dalle accuse di eccessivo protagonismo, la sua decisione da capocomico di circondarsi sulla scena da una compagnia di attori i quali, nonostante siano sconosciuti al grande pubblico, sono perfetti nella caratterizzazione dei loro personaggi (l’unica eccezione è la comparsata di Michele Placido che infatti mal si concilia con il resto dell’operazione).

Il film, dunque, possiede un fortissimo e viscerale impianto teatrale che, nonostante sia l’anima di RazzaBastarda, ne è, allo stesso tempo, il suo limite più grande. La decisione, pensiamo conscia, di rimanere ancorati alla struttura teatrale, specie in una costruzione dei dialoghi estremamente caricata e in un’impostazione ambientale molto “da palcoscenico”, nega la possibilità di seguire tutte le vie di fuga che il Cinema offre e, quindi, impedisce al prodotto di smarcarsi dall’etichetta mortifera di “teatro filmato”.

Ciò non toglie che visivamente il film offra anche elementi di grande valore, uno su tutti l’efficiente atmosfera di puro degrado sociale e morale (la pellicola è ambientata in una terribile periferia di Latina) enfatizzata dalla fotografia in bianco e nero che tanto, e bene, guarda a L’odio di Mathieu Kassovitz.

Sinceramente, però, se Gassman ha interesse a coltivare questa carriera da regista cinematografico dovrà in futuro orientarsi su altre strade.

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