“Pasolini” di Abel Ferrara, con Willem Dafoe, Maria de Medeiros, Riccardo Scamarcio, Ninetto Davoli, Giada Colagrande, Adriana Asti, Valerio Mastandrea, Tatiana Luter, Roberto Zibetti, Salvatore Ruocco, Diego Pagotto; durata 100’, nelle sale dal 25 settembre 2014 distribuito da Europictures.
Recensione di Luca Marchetti
Accolta da accuse pesanti e ingiuste, Pasolini, l’ultima pellicola del regista italo-americano Abel Ferrara è un’opera controversa, vittima di facili contraddizioni. Considerare, come hanno fatto molti critici pigri e miopi, la pellicola solo come una semplice e inoffensiva biografia del poeta e regista friulano è un errore madornale.
Se si accetta questo punto di vista semplicistico, infatti, l’ultima opera del leggendario autore de Il cattivo tenente non può che risultare un film pieno di approssimazioni, dove la figura del grande intellettuale, nel racconto della sua ultima giornata, è ingabbiata in un ritratto schematico, banale e non lontano da quello già mostrato in efficaci documentari e film di finzione (pensiamo al discreto Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana).
Se limitiamo la nostra visione di Pasolini a quella di un semplice biopic, è quasi logico rimanere contrariati, insoddisfatti dall’immagine contratta che viene fatta di una delle figure culturali più importanti del nostro Novecento.
Il film di Ferrara, però, non è (o almeno non pretende di essere) semplicemente una storia biografica. Abel Ferrara decide di accostarsi all’immensa figura di Pier Paolo Pasolini, uno dei suoi punti di riferimento culturali dichiarati, in modo reverenziale, e usa la storia del suo martirio per toccare temi fondamentali, arrivando a parlare del rapporto tra l’artista e la sua opera e del ruolo politico dell’Intellettuale nella società.
Il regista mette addirittura se stesso nella sua opera, componendo una sorta di confessione/elogio dove, in un modo anche disarmante, scopre se stesso e i suoi istinti artistici. Davanti ai nostri occhi, dunque, dietro la camaleontica e splendida performance dell’attore Willem Dafoe (incredibile la somiglianza fisica con l’originale), Ferrara si confonde con il suo Pasolini, alternando le lucide e spietate riflessioni dell’intellettuale con la propria consapevole ammissione di essere dannato dalla propria febbre artistica.
La scelta del regista di attraversare l’opera del poeta, anche con la messa in scena ingenua di brandelli delle sue ultime opere incomplete (il romanzo Petrolio, il film Porno Teo Kolossal) va considerata, inoltre, come il tentativo, forse anche esageratamente sbagliato (ma sempre sincero), di far esplodere la modernità e l’urgenza della figura e dell’opera pasoliniana. Nel film è evidente come Pier Paolo Pasolini fosse (ed è ancora oggi) una figura unica, irripetibile, e lo straniante lavoro fatto sulla Lingua (che si perderà con il doppiaggio italiano) ne sottolinea nei migliori dei modi i caratteri d’isolamento culturale.
Ferrara con il suo film, quindi, non si interessa ai limiti del racconto cronachistico dell’esistenza terrena di Pasolini ma desidera solo esaltarne l’Idea, parlando del suo Significato morale e artistico.
La pellicola, dal punto di vista meramente tecnico, può compiere anche errori vistosi (un cast non all’altezza dell’ottimo lavoro fatto dal suo protagonista) e scivolare goffamente in scene non esaltanti, ma la Poesia commovente che raggiunge in diverse sequenze (il viaggio verso Ostia, sulle note di Roberto Murolo, con Roma che sembra perdere i suoi confini per diventare l’universo) basta per testimoniare anche visivamente l’anima di un film che crede in qualcosa e sa osare. Un’opera da difendere strenuamente, a prescindere. Siamo certi che il pubblico più accorto, quello che frequenta le sale cinematografiche soprattutto per il gusto di essere stimolati da ciò che vede, saprà darci ragione.