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Mercoledì, 08 Mag 2024

Pesci piccoli di Alessandro Robecchi – Sellerio editore – 2024, pp. 436 – euro 16,00.

Recensione di Adriana Spera

Non passa giorno che non sentiamo esaltare le meraviglie di Milano, la “capitale morale”, il regno di Bengodi della Penisola, ma le cose stanno veramente così? A leggere Pesci piccoli, l’ultimo romanzo della serie che Alessandro Robecchi ha scritto con protagonista Carlo Monterossi, non si direbbe proprio.

Milano appare, forse anche più che nei precedenti libri, una città estremamente iniqua dove pochi possono permettersi case milionarie, un tenore di vita elevatissimo, mentre i più faticano per mettere insieme il pranzo con la cena, sfruttati due volte: dai datori di lavoro e dai proprietari di casa.

Una situazione rispetto alla quale nulla fa chi governa a livello nazionale (né ci potremmo aspettare nulla di diverso da un esecutivo che si rifiuta persino di approvare una legge sul salario minimo e che ha cancellato le integrazioni che prevedeva il reddito di cittadinanza), ma ancor meno chi governa a livello cittadino (pur se teoricamente di sinistra), se è vero come è vero che, non si è fatta alcuna politica per la casa, nessun piano di edilizia residenziale popolare, tutt’altro.

Stando agli articoli di Gianni Barbacetto, pubblicati su Il Fatto Quotidiano, sarebbero stati costruiti interi palazzoni con una semplice "Scia", senza versare gli oneri concessori previsti dalla legislazione vigente, con una perdita per le casse cittadine di almeno 560 milioni solo negli ultimi anni. D’altronde, era prevedibile in assenza di un Piano regolatore aggiornato. Risorse che sarebbero state utilissime per rafforzare il welfare cittadino,

Risultato: le già magre disponibilità della gran parte degli abitanti di Milano vengono assorbite da affitti esorbitanti e, comprare una casa, per i comuni mortali, è quasi una mission impossible.

Insomma, la Milano descritta da Robecchi in quest’ultima opera appare come un girone dantesco di persone che faticano a sopravvivere - vite tristi fatte di lavoro estenuante - oppure, in assenza di un’occupazione, come spesso accade anche nelle città opulente, vanno avanti con piccoli espedienti, al limite del codice penale. Del resto, scrive Robecchi, «servono un sacco di perdenti per tenere vivo il mito della città vincente».

E sono questi coloro che, nelle politiche securitarie dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni, vengono incolpati di come vanno le cose. L’autore nell’esergo pone una frase attualissima tratta da I promessi sposi del Manzoni: “I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni”. Una filosofia che non sembrano sposare né il Monterossi e neppure i due poliziotti Ghezzi e Carella.

«Buttiamo tempo e risorse per correre dietro ai poveracci – pensa il solito filosofo Ghezzi – gente che campa di espedienti…che si arrabatta per mettere insieme il pranzo con la cena, che cammina sul filo e può cascare in qualunque momento… Gente così c’è sempre stata e ci sarà sempre, non sono loro che faranno male a questa città, anzi ne sono il prodotto di scarto, la schiuma che non si vuole vedere».

Nonostante ciò, sullo sfondo la città, come sempre, appare affascinante: «Se non avete mai visto la luce delle cinque e mezza, a Milano, in primavera non potete dire niente di questa città, e forse nemmeno di questo mondo. C'è un intervallo minuscolo, tra quando se ne va il buio e quando ricompaiono i colori, pochi secondi di cambio turno che rendono tutto sagomato a mano, un modellino sgranato come una foto antica. Dura poco, però, dovete stare attenti».

Un libro Pesci piccoli in cui si intrecciano tante storie. Il nostro protagonista, Carlo Monterossi, appare come una sorta di Virgilio meneghino, sempre più triste e disorientato dalla disumanizzazione della sua città, dall’amore, dal proprio lavoro, dalla vita.

Ancora una volta, l’angustia maggiore gli deriva dal Crazy love, il programma che ha inventato (e che lo ha reso ricco), di cui è protagonista Flora De Pisis, ma - come gli fa notare la complice di un falso prete che finge miracoli – tutta la televisione oggi è un imbroglio: «Ci pensi, non facciamo lo stesso lavoro? Cosa fate voi con quel programma, con la televisione in generale? Distraete la gente dalla sua vita, che di solito è bella grama».

Pur osservando le vicissitudini di tanti poveracci, verrebbe proprio da dire: i soldi non sono tutto perché Monterossi è sempre più un uomo triste perché, osservando il mondo che lo circonda, si sente impotente, incapace di cambiare le cose, ma lui per qualcuno prova lo stesso a cambiare il futuro ma riflette «Ci vuol altro per rimettere le cose a posto, per fare giustizia».

In questo libro tutti sono tristi, tutti si sentono impotenti in un mondo iniquo, a partire da quella banda di sfigati che prova a ricattare la grande multinazionale dagli affari poco chiari, «Quattro vite sul filo, sulla soglia della disperazione. Bastava un passo falso, un piccolo incidente, e avrebbero perso tutto, anche se non avevano niente. Quattro sfigati contro gente ricca e potente, che maneggiava affari per milioni e milioni, quattro Davide piccoli, minuscoli, un po’ ridicoli, contro chissà quanti Golia giganteschi. Una sarta, un fattorino delle pizze, una guardia giurata e la donna delle pulizie. Una banda di ricattatori. Che però non sapevano chi ricattare, né come».

In conclusione, un romanzo, quello di Robecchi, che raccoglie tante storie di emarginazione (qualcuno dirà di devianza), ma il filo conduttore è un'intricata storia di ricatti in cui si fronteggiano due bande: quella dei ricchi, che brama più potere, e quella degli sfigati, che cerca semplicemente di sopravvivere in una città spietata.

Adriana Spera
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