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Mercoledì, 08 Mag 2024

L’orizzonte della notte, di Gianrico Carofiglio – Einaudi editore – 2024, pp. 280, euro 18,50.

Recensione di Adriana Spera

Torna, in quest’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, il personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri, con le sue riflessioni profonde e le sue dotte citazioni. Egli traccia un bilancio della sua vita sulle occasioni mancate, su come ha gestito i suoi rapporti affettivi, sulla vecchiaia, sulla paura della morte, su come nella vita si intreccino gioia e malinconia, perdita e rimpianto e, last but not least, sull’etica nella professione forense, sul senso stesso di giustizia.

Restiamo piacevolmente coinvolti nelle riflessioni di Guerrieri, abituati, come siamo da decenni, e, ancor più in questi ultimi anni, ad un succedersi di riforme che non hanno certo migliorato la vita del cittadino, riforme elaborate solo dal punto di vista di avvocati con un approccio alla professione diametralmente opposto a quello del nostro protagonista e con un punto di vista tendente ad addossare alla magistratura tutti i guai della giustizia.

Né potrebbe essere diversamente, considerato che, da diverse legislature, la professione di avvocato è largamente prevalente nelle aule parlamentari; anche in questa legislatura abbiamo 73 deputati e 43 senatori che svolgono la professione di avvocato contro, rispettivamente, due e un magistrato.

Il nostro protagonista è ben consapevole della capziosità delle procedure giudiziarie, di tanti errori giudiziari, della superficialità con la quale talvolta si conducono le indagini perché si è convinti di avere già un colpevole, di come i più deboli siano più indifesi se incappano nelle maglie della giustizia. Eppure, Guerrieri cerca di mettersi nei panni di tutti gli attori dei processi: dagli inquirenti agli imputati, dai giudici agli avvocati, perché egli ha un senso di reverenza, di rispetto per la giustizia. Ricorda l’autobiografia di un famoso avvocato americano, il quale rammentava le parole del suo mentore: «Se un giorno ti capiterà di entrare in un’aula di giustizia senza percepirne neppure più un frammento, allora sarà l’ora di smettere».

Simbolicamente, il racconto vero e proprio si apre con il nostro avvocato che, in attesa del verdetto, si siede sulle sedie di tutti gli attori del processo «mi sedetti sulla sedia del pubblico ministero, su quella di un giudice popolare, su quella del presidente, poi entrai nella gabbia degli imputati. Per vedere il mondo attraverso le sbarre».

Sappiamo dai precedenti romanzi che il nostro protagonista non accetta la difesa di esponenti della malavita, né di assassini se non in presenza di una palese innocenza dell’imputato, come è nei casi di Testimone inconsapevole e di La misura del tempo. Viceversa, ha una crisi di coscienza quando si rende conto di aver difeso e fatto assolvere un colpevole, come ne La regola dell’equilibrio.

Insomma, Guerrieri interpreta la sua professione come una missione, un punto di vista che si ritrova a condividere con lo psicoterapeuta a cui si è deciso a rivolgersi dopo la crisi conseguente all’abbandono della sua fidanzata, Annapaola.

«Il modo migliore, il più efficace, per contrastare il nostro scoraggiamento consiste nell’incoraggiare gli altri – dice il dottor Carnelutti, che aggiunge – È il fatto stesso di dare coraggio agli altri che cura. E incoraggiare gli altri ha poco a che fare con l'essere brave persone, o addirittura persone buone… quando ci impegniamo a incoraggiare gli altri siamo costretti a spostare da noi la torcia della nostra attenzione. In questo modo togliamo nutrimento alla nostra personale sofferenza».

E Guerrieri risponde «se c'è qualcosa che mi ha aiutato a tirare avanti in questi anni con tanta tristezza nel cuore, quella che adesso è saltata fuori, e stato proprio il mio lavoro. Aiutare i disperati. Non voglio dire che tutti i miei clienti siano disperati. Alcuni sono semplicemente dei lazzaroni. Ma alcuni sono disperati, e aiutarli è stato grande conforto».

In questo romanzo, Guido Guerrieri si ritrova a dover difendere - per fare un piacere all’amico Ottavio, il libraio della notte dell’Osteria del caffelatte - una donna che ha ucciso l’ex compagno della sua sorella gemella suicidatasi, probabilmente, a causa dei maltrattamenti subiti dall’uomo. Si tratta di un’assassina che ha voluto assumere il ruolo della giustiziera o di un caso di legittima difesa da un uomo violento come sembra emergere nel dipanarsi degli eventi?

Un dubbio che, unitamente ad una fase non proprio felice della sua esistenza, porterà il nostro avvocato a fare un bilancio della propria vita e a riflettere sulle ragioni profonde che lo hanno condotto ad esercitare la professione forense. Quelle ragioni sono ancora così radicate per proseguire? Forse lo scopriremo nei prossimi romanzi.

Adriana Spera
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