Con sentenza n. 11731/2024, pubblicata il 2 maggio scorso, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un’azienda avverso la decisione della Corte d’appello di Firenze n. 452/2021 di conferma della sentenza di primo grado di nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio, intimato a un dipendente affetto da neoplasia in forma grave.
A motivazione del provvedimento espulsivo, la parte datoriale aveva addotto il superamento da parte del lavoratore del periodo di comporto, siccome previsto dal ccnl di categoria, in quanto assente per malattia dal posto di lavoro per 458 giorni.
I Giudici della Suprema Corte, nel riportarsi a una consolidata giurisprudenza di legittimità, previa condivisone dell'accertamento della gravità e cronicità della patologia oncologica del lavoratore, ben nota alla parte ricorrente, tale da comprometterne la capacità lavorativa fino al 75 per cento e da richiedere interventi e cure chemioterapiche, hanno ribadito che in tema di licenziamento, costituisce “discriminazione indiretta l'applicazione dell'ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, converte il criterio, in apparenza neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto, siccome in posizione di particolare svantaggio”.
“Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità – aggiungono i Giudici – appare allora necessaria, a norma dell'art. 3, comma 3bis d.lgs. 216/2003, l’adozione, da parte dei datori di lavoro pubblici e privati, di ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all'impresa, anche attraverso una valutazione comparativa con le posizioni degli altri lavoratori; fermo il limite invalicabile del pregiudizio alle situazioni soggettive di questi ultimi aventi la consistenza di diritti soggettivi”.
In conclusione, ricorso rigettato, con conseguente conferma della reintegra del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegrazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo.
Rocco Tritto