Mi sei caduta dentro, di Carlotta Elena Manni - Editore Sperling & Kupfer – marzo 2024, pp, 230, euro 18,90.
Recensione di Adriana Spera
Un libro molto attuale nella sua tematica tenuto conto del clima che si respira, ancora una volta, nel nostro paese relativamente al tema dell’aborto, che appare ciclicamente come un diritto acquisito sempre in pericolo, in bilico.
E sì, perché quando governa la destra si fa un gran parlare di aborto con toni tendenti a criminalizzare la donna.
Le donne sono viste come semplici fattrici senza alcun diritto di scelta per ciò che concerne essenzialmente il proprio corpo, la propria vita, le proprie aspirazioni: c’è anche chi figli non ne vuole ed è degna di rispetto, così come c’è chi non ne vuole in un determinato periodo della propria vita per le ragioni più varie, c’è chi sceglie liberamente e poi sente dentro di sé una ferita che con passa mai, che sembra risanabile solo con una nuova maternità (come accade alla nostra autrice) che insegue con grande determinazione e tanti ostacoli.
Carlotta, dopo un’interruzione volontaria di gravidanza, vive un’irrefrenabile desiderio di maternità ma incorre in due aborti spontanei, una situazione che la manda nel panico «È buffo come noi donne passiamo gran parte della nostra vita a guardarci le mutande, nella speranza o nel timore di vedere un marchio rosso che sigilla un messaggio, che annuncia salvezza o condanna, successo o fallimento, buon auspicio o malaugurio, vita o morte…Essere donna richiede tanto coraggio... Dobbiamo essere sempre forti. Che d'essere deboli, noi, non possiamo permettercelo. Capita che un giorno scopri che c'è una vita dentro di te e quel giorno devi accettare che tutto cambierà...rinunci ai tuoi progetti… è faticoso, ma quel giorno devi essere forte, devi essere coraggiosa.. . Essere donna richiede tanto coraggio. E noi non ci tiriamo certo indietro».
Un libro che ci aiuta anche a capire cosa significhi vivere una gravidanza o, comunque, qualsiasi problema di salute, se si vive in un paese, gli Stati Uniti, privo di un sistema sanitario pubblico e se, avendo un lavoro poco retribuito, si ha un’assicurazione di basso livello: un incubo. Si rischia continuamente di esser lasciati soli, senza alcuna possibilità di curarsi. Una situazione in cui stiamo precipitando anche in Italia dove - anche dopo una pandemia e 196.527 morti (dato al 1 maggio 2024) - si continua a definanziare la sanità pubblica.
L’ultima trovata di questo governo è l’inserimento e il finanziamento dell’attività di gruppi, cosiddetti, di "supporto alla maternità", rivolta alle donne alle prese con un'interruzione di gravidanza. Attività che verrà finanziata con un miliardo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Un progetto affatto nuovo. Nel 2010, nella regione Lazio governata dalla destra, venne presentata la proposta di legge della Consigliera Olimpia Tarzia, che puntava ad equiparare e finanziare, previo accreditamento, i consultori privati (costituiti da associazioni familiari o facenti capo a diocesi) ai pubblici, con la motivazione che essi comunque già lavorassero sul territorio al pari di quelli pubblici, in realtà, con l’obiettivo di demotivare le donne che si accingevano ad abortire con la promessa di finanziamenti non ben identificati in caso di rinuncia.
Lo stesso obiettivo del provvedimento attuale che inserisce le associazioni antiabortiste nei consultori: dissuadere le donne con false promesse. Una cosa sola è certa: lo stanziamento, illegittimo, di un miliardo del Pnrr da destinare alle predette associazioni.
Ma davvero l’aborto è un emergenza in Italia?
Dalla lettura dell’ultima Relazione annuale 2023 sull’attuazione della legge 194/1978, redatta dal Ministero della Salute leggiamo: «Nel corso del 2021 il numero totale di IVG sono state 63.653 (-4,2% rispetto al 2020). Il tasso di abortività (numero di IVG ogni 1.000 donne residenti in Italia tra i 15 e i 49 anni) è di 5,3 per 1.000 (-2,2% rispetto al 2020), e il rapporto di abortività (numero IVG per nati vivi) è pari a 159,0 per 1.000 (-4,1% rispetto al 2020)...Il tasso di abortività più elevato si riscontra fra le donne con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni, ma nel complesso il numero di IVG effettuate ha subito un decremento in tutte le classi di età, ad eccezione della fascia di donne con età inferiore ai 20 anni…. Il numero di donne straniere che ricorrono a IVG è il 27,1% del totale degli interventi portati a termine... tra le donne italiane che hanno eseguito IVG il 47,2% hanno un’occupazione (46,5% nel 2020), mentre tra le donne straniere la percentuale è del 38,3%».
Insomma, il ricorso all’aborto resta alto tra le giovanissime e le immigrate e sostanzialmente tra le donne più a basso reddito.
Semmai l’emergenza è un’altra ed è determinata dal 63,4% di medici obiettori, accompagnato dal 40,5% di anestesisti, nonché dagli ostacoli burocratici frapposti dalle regioni governate dalle destre, specialmente per quanto concerne la distribuzione della pillola abortiva RU486. Risultato: «Il numero di strutture ospedaliere dotate di un reparto di ostetricia/ginecologia è pari a 562, ma solo 335 (59,6%) eseguono IVG. Si rileva inoltre che ogni 100.000 in età fertile sono presenti 3,3 punti nascita e 2,8 strutture che effettuano IVG». Quindi pochi reparti dove si può partorire e dove abortire.
Mentre si pensa a finanziare le associazioni pro vita, leggiamo dalla “Analisi delle attività della rete dei consultori familiari per una rivalutazione del loro ruolo con riferimento anche alle problematiche relative all’endometriosi”, finanziato e promosso dal Ministero della Salute e coordinato dal Reparto Salute della Donna e dell’Età Evolutiva dell’Istituto Superiore di Sanità, che nel nostro Paese c’è un consultorio ogni 35.000 abitanti, nonostante la legge istitutiva ne prevedesse uno per ogni 20mila abitanti e nonostante essi abbiano contribuito a ridurre le Interruzioni Volontarie di Gravidanza nel Paese di oltre il 65% dal 1982 al 2017.
In conclusione, si continua a non tener conto dell’universo femminile, delle emozioni, del trauma che per alcune può rappresentare l’aborto e soprattutto del diritto all’autodeterminazione delle donne.
Adriana Spera