Il grande libro del folklore islandese - Leggende e fiabe dell terra del ghiaccio, di Roberto Luigi Pagani - Mondadori Electa, giugno 2024 – pp. 563, euro 30,00.
Recensione di Adriana Spera
Con Un italiano in Islanda avevamo avuto modo di scoprire “non una banale guida turistica su uno dei più bei paesi al mondo ma una full immersion nella cultura, le usanze, le tradizioni, la letteratura e persino una lettura dei luoghi più noti in chiave storico naturalistica”. Una guida che nell’intento dell’autore, Roberto Luigi Pagani, giovane docente di linguistica e paleografia islandese presso l’Università di Reykjavik, aveva l’intenzione di far scoprire una “terra che è patria di una civiltà millenaria, ricchissima e sofisticata, che tiene tranquillamente testa a quella delle più grandi nazioni al mondo, e dove si trova un popolo dalla cultura, dagli usi e dai costumi affascinanti”.
Ora con Il grande libro del folklore islandese. Leggende e fiabe della Terra del Ghiaccio possiamo fare un viaggio nella cultura arcaica del Paese, 563 pagine, con annessa una guida linguistica, oltre ad una ricchissima bibliografia.
E sì, perché scopriamo che la popolazione islandese, nonostante sia molto evoluta, crede ancora in certe figure mitologiche quali gli elfi o i troll, nonché nei fantasmi.
Le fiabe islandesi hanno caratteristiche peculiari derivanti dalla loro origine sincretica tra cultura pagana e cultura cristiano-cattolica; prevalgono fantasia e magia, descrivono la vita della povera gente, le sue credenze, le paure ed il modo di immaginarsi i re e i potenti; il lieto fine non sempre c’è. I personaggi inverosimili od inesistenti nella realtà quotidiana sono o buoni o cattivi, furbi o stupidi. Spesso, la narrazione riguarda fatti analoghi, quasi sempre c’è una morale come il rispetto di anziani, famiglia e istituzioni, la generosità verso i poveri, il coraggio nei confronti dei prepotenti. Nascono da una cultura orale popolare, tramandate nei secoli cambiano nel tempo. Sono narrazioni comuni nelle comunità e non necessariamente rivolte ai bambini.
Tutte le fiabe hanno in comune degli archetipi, c’è insomma una tipizzazione di personaggi e fatti molto simili, tuttavia, esse pur somigliando, rivelano paesaggi, abitudini, tradizioni, regole sociali differenti, in altre parole, culture differenti. Per quanto concerne la fiabistica islandese, oltre a una vasta produzione essa ha delle sue specifiche peculiarità: è molto legata ai luoghi fisici, al paesaggio, al rispetto dell’ambiente. Secondo gli studiosi Antti Aarne e Stith Thompson, vi sarebbero ben 2500 motivi ricorrenti nelle fiabe, una ricchezza che riflette anche la vasta produzione letteraria del paese.
Anche per le islandesi valgono le teorie dei fratelli Grimm: le fiabe sono i resti dell'antica cultura unitaria del popolo e costituiscono una fonte di conoscenza preziosa dello stesso.
In questo libro non abbiamo a che fare con le moderne fiabe d’autore ma con fiabe e racconti popolari, tipiche della cultura orale islandese che, come scriveva il filologo Guðbrandur Vigfusson nella prefazione alla prima edizione del 1862 di Racconti popolari e fiabe islandesi, raccolti da Jón Árnason e Magnús Grímsson, stanno a dimostrare come gli islandesi “siano in grado di plasmare del nuovo nel solco del vecchio, anziché semplicemente passarsi ricordi di persona in persona”, a voler dire che il percorso verso l’indipendenza dell’isola è strettamente legato al suo patrimonio culturale popolare. Tuttora, il forte senso di identità ha le sue radici in quel patrimonio.
La raccolta curata dal professor Pagani, come scrive egli stesso, “vuole essere un assaggio… un trampolino per conoscere ed esplorare meglio aspetti di questo mondo, l’Islanda che nei nostri pregiudizi soffre purtroppo spesso il fatto di essere un'isola remota e fredda, cosa che basta a molti per convincersi che essa non possa certamente possedere alcun patrimonio storico-culturale degno di nota”.
L’Islanda è un paese con una storia relativamente recente, “colonizzata” (ma più che di colonizzazione bisognerebbe parlare di annessione richiesta dagli stessi islandesi per por fine alle continue lotte tra i signori locali) nel IX secolo da popoli analfabeti, in parte pagani e in parte cristiani, provenienti dalla Norvegia e dalle isole britanniche sotto l'influenza norvegese, così come da parti dell'Irlanda e della Scozia.
Nel 930 d.C. viene fondata l'assemblea legislativa e giuridica nazionale, l’Alping; nell'anno 1000 venne adottato il cristianesimo cattolico come religione ufficiale. Sono di un secolo dopo i primi testi in antico islandese e dal 1200 al 1400 - quando il paese faceva parte prima della Norvegia e dal 1280 della Danimarca - vi fu una fioritura letteraria eccezionale, influenzata dai classici di altre tradizioni europee. Se i norvegesi imposero in modo bonario il cristianesimo cattolico più per uniformare i comportamenti nel paese, i danesi imposero in modo autoritario il luteranesimo, fino a giustiziare l’ultimo vescovo cattolico. Il paese acquisì la piena indipendenza solo nel 1944.
La cultura tradizionale più schiettamente popolare venne riscoperta nell’ottocento, le sue narrazioni trascritte e preservate. Tutt’oggi, pur essendo, come dianzi evidenziato, un popolo molto evoluto, quello islandese vede nella particolarità della propria natura l’azione di forze sovrannaturali.
Nell’ottocento, con il romanticismo, quasi per reazione agli ideali razionalisti dell’Illuminismo, in tutta Europa vennero riscoperti e messi a sistema, raccolti e catalogati, i racconti e le fiabe della tradizione popolare, ovunque alla ricerca dei miti fondanti delle nazioni, per affermare l’unicità e l’originalità del proprio popolo. In Islanda questo lavoro venne svolto da Árnason e dal suo collaboratore Grímsson e, successivamente, ampliato in sei volumi, tra il 1954 e il 1961, da Árni Böðvarsson e Bjarni Vihjálmsson.
La raccolta del professor Pagani si basa, prevalentemente, proprio su quella ottocentesca di Árnason che riunì circa 1680 elementi, ma si può ipotizzare l’esistenza di un corpus narrativo formato da racconti, credenze, superstizioni e tradizioni popolari di almeno 10mila narrazioni, sia tramandate di nonno in nipote sulla base di credenze popolari, sia derivanti da contaminazioni dalla cultura alta. Per esempio, era frequente la credenza che nelle scuole delle cattedrali alcuni condividessero saperi proibiti e così acquisissero poteri che conferivano loro l’abilità di manipolare e controllare il prossimo.
In questa antologia compaiono solo le “storie mitologiche” di elfi, troll e animali fantastici, le “storie naturali”, le “storie di magia” e le “storie di fantasmi”. Sono escluse le “storie di fuorilegge”, pur se talvolta hanno in sé elementi sovrannaturali, le “storie religiose” e le “storie di eventi”.
Di frequente, protagonisti dei racconti, come delle fiabe, sono gli elfi, che subiscono una trasformazione nel tempo: se nei racconti antichi appaiono quasi come creature non ben definite, dai contorni evanescenti, talvolta legate a toponimi, nel periodo romantico, li troviamo sì stabilmente su rocce e colline, ma indaffarati in faccende domestiche, in attività produttive, in chiesa. Insomma, rappresentati come figure antropomorfe. Una conferma di come il folklore cambi nel tempo, ma anche di come la tradizione degli elfi in Islanda sia qualcosa di complesso e profondo, che ha origini lontane - forse nei racconti degli schiavi di origine gaelica irlandese al servizio dei colonizzatori norvegesi - e non una semplice superstizione fine a se stessa.
Altri protagonisti delle storie sono i troll, anche se “non è sempre chiaro a cosa si riferiscano gli autori usando questo termine – scrive Pagani – in quanto viene applicato a una moltitudine di entità, e in situazioni anche profondamente diverse, al punto che andrebbe addirittura tradotto con vocaboli differenti”. Gli studiosi hanno individuato circa una ventina di significati, per esempio, esso può essere usato come sinonimo di “orco” o di “gigante”. Nelle saghe possono essere così chiamati spiriti maligni o morti viventi, vandali e delinquenti, mostri, esseri antropomorfi, ma ben poco umani, che agiscono spesso come antagonisti del Cristianesimo o, comunque, che operano contro le regole sociali. In definitiva, sono quasi sempre personaggi negativi.
Ciononostante, le storie che riguardano sia gli elfi che i troll hanno tutte l’intento di educare alla lealtà, alla cortesia e al rispetto del diverso, degli sconosciuti.
Nel medioevo si diffusero testi definiti “bestiari”, che descrivevano animali reali o fantastici i quali incarnavano caratteristiche che potevano essere interpretate in chiave morale. V’erano poi i testi “erbari” che descrivevano le proprietà delle piante, dal medicinale al magico. Infine, c'erano i testi ” lapidari” che elencavano caratteristiche e proprietà delle pietre, che potevano essere usate a scopo medicinale o preventivo, per proteggere dai veleni, per calmare la mente e agevolare la preghiera, ma potevano sconfinare anche nel religioso, siccome la Bibbia che menziona numerose gemme associate a classi di angeli, santi e apostoli.
Questo insieme di storie che possiamo definire di “natura” intreccia l'osservazione naturalistica ad elementi di carattere magico-religioso che possiamo far risalire alla tradizione letteraria greco-romana. L'Islanda medievale, essendo parte del mondo culturale cattolico del tempo, recepisce queste conoscenze classiche e le integra con aggiunte derivanti dalle sue peculiarità culturali. E poi, come scrive il nostro autore, “percolano” nella cultura del popolo dove vengono rielaborati fino a formare un insieme di pseudo conoscenze e credenze. Così, per esempio, la credenza in animali fantastici, così come quella negli elfi e nei troll, discendeva dalla necessità di attribuire una forma fisica a forze naturali, a dare un ordine alla complessità dell’ambiente.
Le “storie di magia” - tramandate in forma orale fino al 1200 con tutte le distorsioni conseguenti sia al tipo di narrazione, sia ai cambiamenti intervenuti con l’introduzione del Cristianesimo - discendevano probabilmente dallo sciamanesimo diffuso tra il popolo Sami, legato a culti divini e sacrifici, alla previsione e alla manipolazione del futuro. Fino al 1600, la pratica magica si sovrapponeva in parte a quella medica e a quella religiosa e non veniva censurata dalla Chiesa cattolica. Paradossalmente, fu con l’avvento della Riforma luterana imposta dai danesi che si verificò un’ondata di processi per stregoneria, molti dei quali si concludevano con una condanna al rogo e riguardavano dei religiosi, perché la Chiesa luterana giudicava qualsiasi idea fuori dai canoni come un attentato all’integrità dell’istituzione Stato/Chiesa. Insomma, identificare stregoneria ed eresia era un modo per eliminare i nemici acculturati e influenti (da qui, a differenza di quanto avvenne nel resto d’Europa, la scarsità di condanne per le donne) giudicati pericolosi per l’ordine costituito e consolidare il potere di uno Stato che annoverava tra i suoi organi la Chiesa.
Occorre poi tener conto del fatto che nel corso del Rinascimento in Europa si diffusero tali pratiche magiche e che un’eco di esse probabilmente è giunta anche in Islanda andandosi ad intrecciare alle credenze della tradizione norrena. Se nella tradizione giudaico-cristiana v’è una visione dualistica, con la contrapposizione tra bene e male, e l’uomo può liberamente agire per modificare il corso degli eventi invocando Dio o il Diavolo, nei testi mitologici norreni, per quanto filtrati dalla cultura cristiana degli autori che li hanno scritti, “traspare una visione del mondo ben diversa – scrive Pagani – il bene e il male non sono assoluti, gli eventi hanno un decorso ciclico e il destino è una forza ineluttabile al di sopra degli dèi stessi. La magia islandese, come del resto quella europea, è dunque un prodotto sincretico che si sviluppa in parallelo alla religione ufficiale… una sorta di appendice accessoria (certamente l'etica) di quella religione”. Anche da questo deriva la mitizzazione di figure storiche del mondo cattolico cui si attribuivano poteri magici, di indovini e veggenti spesso corrispondenti a preti delle scuole cattoliche
Certamente, gli islandesi hanno rielaborato elementi dell’occultismo europeo, incrociandoli con un’ampia simbologia. Elementi della mitologia pagana come formule magiche o scongiuri vengono riadattati e inseriti nella nuova tradizione.
Come in tutte le culture, anche in quella islandese, v’è il culto dei morti, la credenza che vi possa essere vita oltre la morte, elemento comune a tutte le religioni e una ricca aneddotica. Lo studioso Jón Árnason ha raggruppato i fantasmi, denominati draugur, in varie tipologie: le anime ritornate (afturgöngur), i neonati abbandonati (útburðir), i dèmoni della ricchezza (fépukar) e i neomorti (nýdaudir menn), i risvegliati (uppvaknigar), le seguitrici (fylgjur), una sorta di angeli custodi di singoli e famiglie, non sempre benevoli.
La narrazione sui fantasmi muta nel tempo, in epoca antica venivano descritti simili ai vampiri, dotati di corporeità, caratterizzati da cupidigia, morbosamente attaccati a ciò che possedevano in vita, perciò per tenerli buoni venivano seppelliti con armi e oggetti di uso quotidiano. Quelli di epoca moderna, dopo l’arrivo del cristianesimo, vengono descritti come spiriti.
Tuttavia, nello scorrere dei secoli, la credenza presenta una commistione di elementi della tradizione cristiano-cattolica con quella pagana, però, sempre in forme articolate e mutevoli ed estremamente radicata tutt’oggi.
Per chi fosse interessato al popolo islandese e alla sua cultura, questo ricco e ben curato testo, è sicuramente un eccellente supporto informativo.
Adriana Spera