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Venerdì, 20 Set 2024

Questa sinistra inspiegabile a mia figlia di Marco Revelli - Giulio Einaudi editore, giugno 2024 - pp. 163, euro 16,50.

Recensione di Adriana Spera

Come ritrovarsi in un libro. In questo dialogo - un po’ confessione autobiografica e un po’ analisi storico-politica della Sinistra, ma pure sfogo sentimentale - di Marco Revelli con una figlia immaginaria, fin dall’incipit noi vecchi militanti di sinistra vi possiamo rintracciare i dialoghi reali con i nostri figli, le loro osservazioni, le loro reazioni, il loro approccio disincantato alla vita, agli eventi a cui assistono, la loro sfiducia rispetto alla possibile incidenza della politica per cambiare in meglio un mondo che pare andare sempre più alla deriva e che offre loro fosche prospettive future, pure dopo anni e anni di studi, percorsi di studio spesso molto diversi dai nostri. Il loro pragmatismo, tanto distante dal nostro idealismo, si riflette persino nei percorsi di studio.

E poi il loro accusarci di averli sempre fatti percepire “diversi” dagli altri. Una “diversità” che li ha fatti sentire distanti anche da quelli che noi vorremmo difendere. Quante volte ci accusano di essere elitari, sofisticati, radical chic, come dice la destra? Ma quel che ci fa più male è la loro voglia di omologazione, di mimetizzarsi così distante dai nostri individualismi “comunitari”.

Il nostro autore in riferimento alla militanza a sinistra - di cui sposa la definizione “felicità pubblica” che ne diede Hannah Arendt - cita un passo tratto da Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta Continua di Guido Viale - Edizioni Interno4, Rimini 2022 : «un momento magico in cui sembra che la liberazione individuale coincida con quella collettiva - e finalmente – cada la divisione fra vita quotidiana e politica».

«Ma tu stai ancora lì…a Sinistra?» chiede la figlia, e lui «Beh sì…», allora lei, che evidentemente ci pensa da tempo chiede «Perché?», e il padre riflette: “Perché m’intestardisco a stare in un posto che non c'è più? Un posto vuoto, se mai ha avuto davvero una sua realtà… un sistema di idee e di promesse tradite ogni giorno da quegli stessi che dicono di volerle ancora rappresentare… Una «cosa» che (avrei dovuto capirlo, dati i miei studi), se va bene, se mai ha avuto un senso, non è comunque riuscita a superare la barriera temporale che separa il Novecento dal tempo «nostro», suo e mio, quello in cui viviamo oggi”.

Insomma, una sinistra tradita dai suoi stessi esponenti e al contempo anacronistica che, alla luce delle mutazioni socio-economiche intervenute nel terzo millennio, non è riuscita a rinnovarsi per difendere i più deboli.

Piuttosto, bisognerebbe parlare di una sinistra solo nominalmente tale. Sinistra che quasi si vergogna di esser l’erede di quella storia, che vuole mimetizzarsi, amicarsi i poteri forti. Come scriveva, in maniera astrusa, nel 2008, Walter Veltroni nel suo Manifesto dei Valori, il documento fondativo del Partito democratico a vocazione maggioritaria, ossia di un partito che ambiva a non porsi più «in termini di rappresentanza parziale di segmenti più o meno grandi della società – quanto piuttosto ad – aderire alle articolazioni e alle autonomie civili, sociali e istituzionali proprie del pluralismo della storia italiana e della complessità della società contemporanea». Insomma, come scrive Revelli, una sinistra che vuole “«essere come tutti» …smettere quella faticosa diversità che li aveva segnati fin dagli anni Venti del Novecento, buttare a mare quella zavorra sociale da fabbriche rugginose che sembrava «tenerli indietro» e poter finalmente proporsi di rappresentare chiunque”.

Sappiamo bene come è finita, nel tentativo di voler rappresentare tutti, si è finiti col non rappresentare nessuno, si è finiti per etichettare come Rinascimento un regime sanguinario, si è finiti per togliere ogni dignità al lavoro, precarizzandolo prima con il pacchetto Treu e poi, con il Jobs act, cancellando quasi tutti i diritti conquistati in anni di lotte. Si è finito, così, col negare un futuro ai nostri giovani.

E non solo qui, ovunque nel mondo se, persino l’americano Bruce Springsteen canta: «il sogno del sol dell’avvenire è dissolto e insozzato e non siamo stati capaci di sognarne un altro».

Revelli scrive «Siamo così arrivati au but de la nuit, perché davvero non c'è nulla di peggio di una grande speranza tradita, di un mito che, come una bolla, implode nel vuoto, e tutta l'energia che aveva contenuto si rivolge contro se stesso, contro chi quel mito aveva alimentato e poi tradito, contro il sé che vi aveva creduto e che ora, nel nulla in cui si è caduti, va, brancolando, a cercare una qualche figura di padre-padrone che rassicuri». Insomma, il nostro autore, partito per narrare l’epopea della Sinistra, ne scrive l’elegìa.

Ma come siamo arrivati a questo punto?

L’autore ripercorre la storia italiana dalla nascita dei movimenti a fine anni ’60, passando per la strategia della tensione (con la bomba di Piazza Fontana e l’omicidio Pinelli “noi, di quella generazione impaziente – ci rendemmo conto che – stessimo vedendo «cadere gli aquiloni»…che lo Stato nel suo nucleo profondo, era immodificabile”) e l’impunità degli autori coperti da funzionari dei servizi, spesso ex delle Brigate nere di Salò. La nascita del terrorismo parallelamente alla diffusione delle tossicodipendenze e poi gli anni ’80: il nulla dopo l’utopia. Per finire alla caduta del muro, alla globalizzazione, alle ricorrenti crisi finanziarie, alle delocalizzazioni delle grandi fabbriche, come la Fiat, le privatizzazioni e lo smantellamento del welfare state.

Mentre tutto ciò accadeva, che ha fatto la sinistra? Il Pci e i suoi epigoni, hanno subìto una mutazione antropologica, soprattutto nei dirigenti che sposano più la causa della finanza, del profitto, che non le rivendicazioni operaie. Anche e, soprattutto, quando sono al potere.

E sì perché, il «Potere è uno di quei nodi ineludibili per ogni Sinistra, rivoluzionari o riformisti che si sia, moderati o radicali… intorno ad essa ruota… quel capovolgimento delle utopie in distopie… la Sinistra patisce il Potere. Anzi, per la verità, lo desidera (come coronamento finale della propria azione, misura del suo successo) e nello stesso tempo lo soffre».

Così come il passaggio tra idealismo utopico (in assenza del quale non può esservi Sinistra) e realismo cinico è stato breve, come ci hanno dimostrato le vicende del terrorismo rosso «Quando…s’incominciò a considerare la vita – la propria e soprattutto altrui – non più come qualcosa da liberare ma come qualcosa con cui giocare».

Tuttavia, se i terroristi rossi sono finiti tutti in carcere, i fiancheggiatori “in doppio petto” dei terroristi neri sono stati premiati e promossi.

Ma dopo gli anni bui del terrorismo e dell’autodistruzione chimica, tra chi si è salvato, molti, come ha scritto lo scrittore francese Guy Hocquenghem, sono passati da Mao al Rotary. Quanti di quelli allora “duri e puri” oggi occupano posizioni di rilievo in aziende dalla missione e dalle pratiche discutibili, dimentichi se non vergognosi del proprio passato? «Non stupisce che nella disordinata, non preparata né governata, fuga dal proprio passato – scrive Revelli – in molti abbiano interiormente deciso di gettare il bambino e tenersi l'acqua sporca».

La Sinistra, che di per sé dovrebbe essere «un arcipelago a geometria variabile e in costante mutamento» a un certo punto si è fermata e quando poteva risorgere con i movimenti no global è stata fermata, nel luglio 2001, a Genova, nelle camere di tortura della caserma di Bolzaneto, nella mattanza messicana della scuola Diaz.

D’altra parte, quanto ha contribuito a portarci una errata visione di progresso, propria anche della Sinistra oltre che della Destra, nella spirale della globalizzazione, prima, e poi nell’attuale crisi ecologica, infine, verso una guerra mondiale a pezzi? Moltissimo.

Se oggi viviamo in un’epoca di produttivismo spinto e di svalorizzazione del lavoro, lo dobbiamo forse più alla Sinistra che alla Destra, che ha solo svolto il ruolo per cui è nata: la difesa degli interessi del capitale. La Sinistra ha fatto del Progresso quasi il suo unico credo residuo e allora via libera all’impunità per chi con le proprie fabbriche inquina, a chi cementifica oltre misura.

Pensiamo, ad esempio, a quanto accaduto nella civile Emilia-Romagna quando con il terremoto i capannoni vennero giù come castelli di carta o all’alluvione dello scorso anno, favorita da un’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli.

Siamo arrivati così, tra precarizzazione dei processi produttivi e crisi ecologica, a compromettere, se non negare il futuro ai nostri giovani. Sta proprio in questo passaggio la crisi delle ideologie di Sinistra perché se “quei ventenni di allora (del ’68, ndr), pur nella disperazione del presente, avevano dalla loro la fiducia in se stessi, credevano davvero di «poter cambiare il mondo» (e cambiandolo di salvarlo)…per questo credevano ancora nella «politica» – scrive Revelli, che aggiunge – i ventenni di oggi hanno invece nella solitudine una condizione, come dire? «quasi ontologica». Un modo di vivere radicato nell'essere. E non si trovano di fronte una controparte ben riconoscibile in qualche individuo identificabile con il Potere… ma un meccanismo sistemico che tiene dentro l'intero loro «prossimo» (e con esso loro stessi), rispetto al quale la politica è «il dio che ha fallito»”. Il risultato è un senso diffuso di insicurezza, di paura, di colpa e di fallimento. Ed ecco che «Il fallimento futuro del pianeta diventa il fallimento presente di se stessi»

E così siamo arrivati all’oggi, in cui la maggior parte delle persone è indifferente a quanto accade, alle disuguaglianze, ai migranti che muoiono in mare, al genocidio di un popolo come quello Palestinese, alle guerre, al riarmarsi dei paesi, mentre aumenta la povertà.

La conclusione che ne trae Revelli è che la maggior parte delle persone non fa quella scelta di campo solidale da cui «veniva l'energia di cui si era alimentato l'attivismo della mia generazione. Il dovere di esser-ci, che ci aveva portato magari a sbagliare, certo, ma comunque a reagire. Ora invece anch'essa sembra appannata. Prevale la narcosi. Il sonnambulismo. Siamo tutti in perenne anestesia. Padri e figli. Giovani e anziani. Colpevoli e innocenti».

Adriana Spera
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