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Domenica, 28 Dic 2025

Tanta ancora vita di Viola Ardone - Giulio Einaudi Editore, 2025 - pp.320, euro 19,00.

Recensione di Adriana Spera

Viola Ardone ancora una volta ci mostra il mondo degli adulti, le sue ingiustizie e le menzogne, con gli occhi di un bambino, stavolta è l’ucraino Kostya. E non solo lui perché Tanta ancora vita è un libro a più voci narranti, ognuna con il suo carico di dolore, che non affronta solo il rapporto bambini-adulti. È un libro sulla genitorialità, sulla ferita che provoca la perdita di un figlio e, al contempo, sulla scomparsa o l’abbandono di un genitore, che avvengano in pace come in guerra. Un libro sulla mancanza di memoria degli eventi che conducono ad una guerra e sulla sconfitta delle ideologie nel ‘900.

Pensavamo che, almeno in Europa, i bambini non avrebbero più vissuto un conflitto bellico, con tutta la violenza e la distruzione che esso comporta; pensavamo che l’Unione europea fosse portatrice di pace. Una convinzione che è vacillata sin dall’attacco alla Serbia e che è divenuta certezza quando alcuni paesi dell’Unione hanno partecipato, dapprima alla guerra in Iraq e poi in Afghanistan, seguendo le menzogne di Blair e Bush. Pensavamo che la Germania, dopo i disastri che ha provocato scatenando due guerre mondiali e milioni di morti, fosse diventata un paese pacifico.

Così non è, purtroppo. Sembra di essere entrati in un ciclo di ricorsi storici, cui l’Italia, ancora una volta, ha dato il via con il ritorno al fascismo (anche se ce lo neghiamo) e la Germania con le sue aspirazioni egemoniche sull’Unione.

L’occidente, guidato (o subornato?) dagli Usa, che si sentono in diritto di ingerire sugli assetti del resto del mondo, sull’autodeterminazione degli altri popoli, di accaparrarsene le materie prime senza rispettare il diritto internazionale, sempre più, sembra essere il nostro futuro.

Un futuro di guerra e distruzione, che rischia di portare all’apocalisse nucleare, alla fine dell’umanità.

E i bambini come la vivono? «Io sono nato con la guerra e nessuno mi può fermare. Corro corro corro come questo treno facciatosta. C'è la polizia, ci sono i soldati, ci sono le sirene e poi le bombe. Sono solo un bambino, dico, e passo avanti e corro corro corro, e alla polizia e ai soldati e alle sirene e poi alle bombe faccio ciao ciao con la mano e li mando al didietro». Così inizia il racconto del nostro protagonista in fuga dal suo paese, da solo verso una nonna sconosciuta, la Babusia, che vive in Italia.

Il bambino cerca di darsi coraggio e si presenta come fosse in un videogioco: «sono Kostya,.. ho quasi dieci anni…vengo da Mariupol, I razzi spappolatrippe me li mangio a colazione e poi rutto a mitraglia… Io sono come la guerra… nessuno mi può fermare... La guerra rallenta ogni cosa, eccetto la morte. Ma io nella guerra ci sono nato, e che cosa può farmi? Né a me e nemmeno al mio Tato (papà, ndr), che presto tornerà vincitore, eroe decorato dal nostro presidente bassetto… È la guerra che emana gli eroi… Tante case abbiamo cambiato io e il mio Tato da quando è iniziata la guerra, molti anni fa, noi ogni volta a fuggire più avanti e lei sempre dietro, come una macchia d'olio che si allarga sulla strada e nessuno la copre con la segatura… Poi, scappa oggi, scappa domani, il mio Tato ha detto che era il momento di riprenderci quello che è nostro, ha deciso di arruolarsi nell'esercito».

Quella di Kostya è stata un’infanzia di e nella guerra «La guerra da noi a Mariupol c’era da prima che lo sapesse il resto del mondo. Adesso la vedono tutti, si è fatta più grande, come una malattia che si fa riconoscere solo quando la febbre è salita ed è difficile ormai da curare». Per Kostya, «La guerra non dovrebbe uscire mai dai videogiochi. Colpi per finta, esplosioni per finta, sangue per finta, morti per finta, una vita di riserva, una partita ancora da giocare… ma la guerra vera fa male di più, ci vorrebbe un adulto più adulto degli altri che dica basta e mandi tutti a dormire o a fare i compiti o a giocare su un prato».

Il nostro giovane protagonista non idealizza l’Europa, il cui confine «è solo una linea disegnata per tenere separate persone con le stesse disgrazie», affronta coraggiosamente il suo lungo viaggio, incontrando persone solidali e burocrati nazionalisti, ma, alla fine, pur avendolo vissuto come un videogioco, arriva a destinazione stremato e si sente sconfitto «Sono solo, sono vivo, sono il più grande supereroe della notte, sono arrivato fino all'ultimo quadro ma non ho vinto niente».

A Napoli, Kostya trova Vita - madre depressa con tendenze suicide dopo la morte del figlio, arroccata nel suo dolore – e la nonna, la Babusia, Irina. Due donne, due vissuti diversi, necessitati non tanto dalle differenze di classe quanto dalla storia, due modi, solo apparentemente diversi, di vivere la maternità «Tu non accetti l'idea di perdere tuo figlio, eppure hai gioito quando ti ha detto che si arruolava volontario, l'hai lasciato andare.– dice Vita a Irina e aggiunge – Bisogna tenerseli stretti, i figli, attaccati al seno, bisognerebbe non partorirli mai, nasconderli nel ventre come la madre Gea prima di sconfiggere Urano, perché darli alla luce significa in realtà darli al buio, al mondo sporco e polveroso, alla volgarità delle parole inutili, alla pistola e al coltello, alle macchine che sfrecciano per strada di notte...alla maldicenza dei mediocri, ai falsi amori, alla rabbia degli altri e a quella propria. Si dà alla luce un figlio credendo sia per sempre questo è l'inganno che fa marciare il mondo».

Irina, dopo essersi laureata in filosofia a Kiev, alla caduta del muro pensava di aver dinanzi un futuro ricco di opportunità e, invece, si è ritrovata a fare la colf in Italia, dopo aver dovuto lasciare nel proprio paese il marito e il figlio Roman, «Credevo che lo studio mi potesse salvare, perché altrimenti chi altro. Famiglia niente. Soldi niente. Comunismo niente. È finito da solo, un giorno di dicembre del 1991, nemmeno combattere, nemmeno farsi arrestare, nemmeno tradire. Arrivederci e grazie, ognuno per sé. Liberi sì, ma poveri pure, la Storia perdona niente… Ci avevano detto che potevamo vivere all'occidentale, finalmente, guadagnare ognuno quello che voleva, se lo voleva, e infine spendere, comprare, avere il necessario e, perché no, anche il superfluo, andare dal parrucchiere invece di tagliarci i capelli in casa l'una con l'altra, partire, tornare, rimanere. Così siamo stati liberi, poi abbiamo speso soldi, poi abbiamo capito che eravamo poveri anche se potevamo comprare nei negozi, poi abbiamo smesso di studiare, poi siamo andati all'estero per cercare lavoro, poi siamo diventate domestiche e badanti».

E sull’esito della guerra in corso, Irina è scettica, i mezzi di informazione spandono ottimismo, sembra che l’Ucraina abbia la vittoria in tasca perché l’America e l’Unione europea sono dalla sua parte, perché «siamo dalla parte della ragione», ma per lei le cose non stanno così, dicono bugie «La verità è che abbiamo perso. L'Europa ha perso, ha perso l'America, hanno perso la Storia, il mondo e anche la ragione, il giorno in cui quei carri armati hanno attraversato la linea di confine, o ancora prima, con gli scontri tra fratelli e fratello in Crimea e nel Donbass». I Paesi hanno dimenticato quello che c’è scritto nelle loro Costituzioni, la guerra doveva diventare un tabù e invece è tornata con le sue vittime, i bambini da salvare che non si salveranno, dei rifugiati che non troveranno rifugio, delle donne stuprate per vendetta. Dice il figlio Roman, ormai disertore, «Ci hanno detto tante cose, Mate (madre, ndr), niente è vero, né quello che dicono di là dal confine e nemmeno quello che raccontano qui da noi. Perché lo sai qual è la verità? Non esiste il nemico».

Ma le madri, le donne, talvolta si alleano, si soccorrono a vicenda senza badare alle differenze, annullano le distanze sociali e fisiche pur di salvare i figli, pronte ad affrontare anche i pericoli di una guerra, dice Vita: «Vita per vita, figlio per figlio… solo salvando un altro si salva anche sé stessi».

Un libro da leggere, non solo per la consueta scrittura, quasi poetica, della Ardone, ma pure perché appare dissonante rispetto ad una informazione a senso unico e ad una politica che ormai cerca di imporre il proprio orientamento, vara provvedimenti contro chi dissente che nulla hanno da invidiare a quelli dei regimi autoritari.

Adriana Spera
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