di Alex Malaspina
Nuova tegola sul capo di Claudio Regis, ex senatore della Lega Nord ed ex potente vice commissario dell’Enea.
Il Tribunale penale di Roma nei giorni scorsi lo ha condannato a anni 1 e mesi 9, pena sospesa, per i reati di sostituzione di persona e truffa (articoli 479 e 640 del codice penale).
Regis, a seguito di separato giudizio, dovrà risarcire anche i danni all’Enea, costituitasi parte civile, a favore della quale dovrà comunque versare una provvisionale di 50 mila euro.
La condanna penale si aggiunge alla sanzione inflitta dalla Corte dei conti, che il 9 dicembre 2010 lo ha obbligato a restituire all'erario la somma di 74.310 euro, pari agli emolumenti percepiti durante il suo incarico presso l'Enea "cui il medesimo - hanno scritto i giudici contabili - ha indebitamente avuto accesso in conseguenza di una condotta fraudolenta, connotabile come dolosa".
La vicenda era approdata agli onori delle cronache nell’estate del 2005, quando Usi/RdB riuscì a dimostrare che il Regis non aveva mai conseguito la laurea in ingegneria, titolo di cui si fregiava e che gli aveva permesso, con tanto di decreto firmato da Silvio Berlusconi il 15 luglio 2005, di accedere al vertice dell’Enea, fino ad allora guidato dal Nobel Carlo Rubbia.
E, come evidenziato in un articolo del Foglietto del 16 gennaio scorso, fu proprio un giudizio tutt’altro che lusinghiero nei confronti di Rubbia (“è un sonoro incompetente”), espresso dal Regis subito dopo la sua nomina, a insospettire Rocco Tritto, segretario nazionale di Usi/RdB, che chiese per iscritto agli oltre 100 Ordini degli Ingegneri, sparsi sul territorio nazionale, dove e quando lo stesso Regis avesse conseguito il titolo accademico. Le risposte furono univoche: "Claudio Regis, nato a Biella il 17 aprile 1944 non ha mai conseguito la laurea in ingegneria".
L'incredibile storia, finita, oltre che sul Foglietto (n. 30/2005), anche sul Corriere della Sera, non impedì, però, a Berlusconi di confermare il Regis presso l’Enea con un decreto del 10 novembre 2005.
La pronuncia del Tribunale penale di Roma, che entro novanta giorni dovrà depositare la sentenza con le motivazioni della condanna, fa calare temporaneamente (in attesa del probabile appello ed eventuale ricorso in Cassazione) il sipario su una vicenda a dir poco paradossale, che certamente non fa onore alla ricerca pubblica italiana.