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Sabato, 06 Lug 2024

di Ivan Duca

Dopo i nostri articoli delle scorse settimane, rispettivamente del 1° e del 8 ottobre, quando abbiamo letto due atti, intitolati “Provvedimento motu proprio del Direttore”, il primo, datato 30 giugno 2011 e, l’altro, 19 settembre 2013, entrambi sottoscritti da Ario Ceccotti, direttore dell’Ivalsa-Cnr, non riuscivamo proprio a crederci; dopo averli visti, l’incredulità ha ceduto il posto allo sbigottimento. Lo stato d’animo che ci pervade tuttora.

Sì, perché in tanti anni di lavoro nella pubblica amministrazione e di frequentazione di testi di diritto amministrativo, di atti ”singolari” ne abbiamo visti tanti (delibere di organi monocratici, decreti di organi collegiali et similia), mai ci era capitato, però, di imbatterci in un arnese come il “Motu proprio”,  involucro assai insolito per manifestare la propria voluntas.

Quando c’era il sovrano, motuproprio - sostantivo della locuzione latina motu proprio, ossia “per moto proprio, di propria iniziativa”- stava a indicare l’atto e il documento di una concessione emanata direttamente e unicamente dal sovrano. Anche quando proprio così non era, la presenza della formula (introduttiva e, spesso, anche finale) sanciva, in ogni caso, il pieno valore del documento quale atto del sovrano, impedendo così ogni possibile invalidamento.

Con l’avvento dei regimi costituzionali, lo spazio riservato al motuproprio non poteva che restringersi notevolmente, rimanendo circoscritto agli atti di regia prerogativa relativi allo stato nobiliare e agli ordini cavallereschi.

Nell’attuale Costituzione, infine, il Capo dello Stato non può emanare provvedimenti di sua esclusiva iniziativa.

Ai giorni nostri, motuproprio è vocabolo che evoca la Cancelleria pontificia, dove fu introdotto ai tempi di Innocenzo VIII e usato in ambito amministrativo. Era in pergamena e autografato dal Papa. Anche se meno frequentemente di un tempo, qualche motuproprio viene emanato ancora, come è avvenuto con quello “antiriciclaggio”, adottato di recente da Papa Francesco.

Il motuproprio continua, perciò, ad esistere soltanto nel diritto della Chiesa, mentre è definitivamente scomparso nel diritto costituzionale/amministrativo dello Stato.

Con gli atti di Ario Ceccotti, sopra indicati, ci siamo chiesti se non stessimo assistendo a una possibile resurrezione dell’istituto del motuproprio.

Ai più, pare improbabile.

Non si capisce, infatti, come, non essendo né Papa né Re, il Ceccotti, nella sua qualità di direttore dell’Ivalsa, abbia potuto emanare atti del genere.

Deo adiuvante, il mistero sarà svelato.

Sin qui, l’esame del profilo formale dei provvedimenti. Ma quello sostanziale sembra appalesarsi non meno sorprendente, in quanto addirittura più sconcertante.

Tale appare, infatti, il primo dei due provvedimenti, quello datato 30 giugno 2011, con il quale il Ceccotti – motu proprio, s’intende - preso atto che il signor Claudio Mario Marchetti, collaboratore tecnico di IV livello dell’Ivalsa, il giorno dopo sarebbe stato collocato in quiescenza, come in effetti lo fu, decise di confermarlo nel ruolo di “Responsabile delle risorse umane della Uos di San Michele all’Adige, fino a nuova contraria disposizione”. Formula, quest’ultima, peraltro perfettamente coerente con la natura del motu proprio.

In pratica, per il Ceccotti nihil sub sole novi, giacché il collocamento in quiescenza del Marchetti – per inciso, già segretario regionale Fir-Cisl del Trentino, che proprio nei locali dell’Ivalsa di San Michele all’Adige organizzò nel 2009 un riuscito congresso del suo sindacato - non solo non concludeva il rapporto di lavoro del medesimo col Cnr, ma neppure lo interrompeva.

Caso unico, probabilmente, nell’universo del pubblico impiego.

Come se non bastasse, con un provvedimento del 30 settembre 2011 (questa volta, non motu proprio, ma, stando a quello che in esso si afferma, “sentito il Consiglio di Istituto”), il Marchetti si vedeva accolta l’istanza di associazione all’Ivalsa, “per supportare l’istituto nella partecipazione alle attività correlate alla costituzione dell’Area della ricerca di Trento, per la gestione dei servizi individuati come comuni dal direttori degli istituti Cnr afferenti (Ivalsa, Imem Ifn, Ibf, Istc) in provincia di Trento”(sic!).

Rebus sic stantibus, quella del Marchetti doveva essersi profilata come una figura, più che necessaria, indispensabile. Una sorta di novello Atlante, pronto a caricarsi il peso dell’Ivalsa sulle spalle.

Nulla da eccepire, se tutto fosse avvenuto nel pieno rispetto delle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano la materia.

Veniamo, innanzitutto, all’associazione al Cnr di ex personale dell’ente.

La materia è regolamentata da un disciplinare approvato dal presidente del Cnr con decreto n. 628 del 2 febbraio 2007 e non dal previgente, risalente al 2005, siccome incredibilmente indicato dal Ceccotti nel citato provvedimento di associazione.

Ebbene, in base al vigente decreto n. 628, a poter essere associati agli istituti del Cnr sono, previo accoglimento dell’istanza da parte del direttore (che ne dà comunicazione, allegando il curriculum dell’associato, al direttore del dipartimento di afferenza che, a sua volta, lo inoltra al presidente), oltre ai soggetti di cui alle lettere da a) ad f) del comma 1 dell’art. 2 del disciplinare, anche “ricercatori e  tecnologi ex dipendenti di enti pubblici di ricerca in quiescenza”.

Quanto ai collaboratori tecnici, è prevista, dal successivo comma 3, la possibilità di associazione “a carattere straordinario”, previo provvedimento motivato del direttore dell’Istituto, che attesti “competenze tecniche altamente qualificate” da parte dell’associando, nonché il possesso di un curriculum che “documenti lo svolgimento di attività di ricerca”.

Nel caso di specie, tali requisiti, atti a giustificare una associazione così straordinaria, sembrano difficilmente rinvenibili, dato che nel provvedimento medesimo si fa leva esclusivamente sugli incarichi affidati al Marchetti dal 2007 in poi, quale Responsabile dell’Unità decentrata amministrativa e di supporto per l’istituenda Area della ricerca di Trento. Incarico che, con tutta la buona volontà, si fa assai fatica ad assimilare allo svolgimento di attività di ricerca.

Senza dimenticare, poi, che, in concreto e come documentalmente provato, lo stesso Marchetti dal giorno successivo al suo collocamento in quiescenza (si fa per dire) ad oggi ha, ininterrottamente, disimpegnato funzioni amministrative in quanto, come già ricordato, Responsabile della gestione del personale della Uos di San Michele all’Adige.

A fronte di tante anomalie, sia formali che sostanziali, perpetuatesi il 19 settembre scorso con l’emanazione di un secondo motuproprio col quale il Ceccotti ha disposto la proroga del "pensionato" Marchetti sia per l’associazione che nella funzione di Responsabile della gestione del personale, ci sembra opportuno, per non dire indifferibile, un intervento degli organi di vertice del Cnr, presidente Nicolais in testa.

Naturalmente, senza ricorrere a un motuproprio, ma adottando decisioni che ne producano gli effetti sul piano sostanziale, facendo, una volta per tutte, chiarezza all’interno dell’Ivalsa.

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