di Biancamaria Gentili
Anche se l’autorizzazione risale al 1994, non sono in tanti a sapere che in Italia la cannabis viene coltivata legalmente, ma solo per fini di studio, presso la sede distaccata di Rovigo del Centro di ricerca per le colture industriali del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra).
Il Cra è un ente di ricerca vigilato dal ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, interamente finanziato dallo Stato.
Dunque, siamo di fronte all’unico caso di produzione di cannabis sotto il controllo dello Stato, di cui va fiero il primo ricercatore del Cra Gianpaolo Grassi, che da anni, nel Centro di sperimentazione rovigino, si dedica allo studio della canapa sativa e delle sue diverse applicazioni in campo medico, soprattutto per la terapia del dolore.
I risultati delle ricerche di Grassi hanno ormai oltrepassato i confini dell’Italia, visto che per le varietà di cannabis coltivate nella sua struttura sono pervenute richieste da Colorado, Arizona, California e finanche dall’Uruguay che, come noto, da dicembre scorso è il primo Paese del mondo che ha deciso di liberalizzare e controllare la vendita delle droghe leggere, con l’obiettivo dichiarato di sradicare il mercato della coltivazione e dello spaccio illegale.
In Italia, anche se il dibattito è aperto e le proposte di legge non mancano, come quella del senatore del Pd, Luigi Manconi, non sembrano ancora maturi i tempi per scelte politiche illuminate e coraggiose.
Da stime fatte da più parti, se fosse lo Stato a vendere la cannabis potrebbero entrare nelle casse dell'erario oltre 8 miliardi e le mafie ne perderebbero ben 64.
Ma sarebbe già tanto se fossero autorizzate coltivazioni di cannabis finalizzate alla produzione di farmaci, per i quali oggi le strutture sanitarie devono rivolgersi all’estero, con procedure burocratiche complesse e con costi tutt’altro che irrilevanti per il martoriato servizio sanitario nazionale.