Sergio Vaccaro, dipendente Istat, il 9 giugno scorso, a seguito di trasferimento disposto d’ufficio, è stato privato, addirittura con effetto retroattivo 26 maggio (poi, oggetto di rettifica), del telelavoro, che aveva ottenuto in precedenza, anche perché destinatario dei benefici della legge 104/92.
Ripresosi dallo sbigottimento e visti inutili tutti i tentativi di dialogo con l’amministrazione, ha deciso di raccontare attraverso le colonne del Foglietto del 29 luglio la sua incredibile vicenda.
Nei giorni scorsi, dopo una decisa presa di posizione dell’Usi-Ricerca, l’ente statistico è tornato sui suoi passi, riconoscendo di fatto che il telelavoro, siccome previsto dall’art. 17 dell’apposito Regolamento, non cessa se il trasferimento del dipendente avviene, come nel caso di Sergio, in una struttura organizzativa ove l’attività da svolgere possiede i requisiti della telelavorabilità.
La storia insegna che i diritti non vengono regalati, ma bisogna conquistarli. Né, dopo che sono stati riconosciuti, si può stare tranquilli che nessuno cercherà di negarne l’esistenza. Anche dopo la loro affermazione, perciò, può essere necessario battersi non solo perché ne venga riconosciuta la persistente vigenza, ma anche perché ne sia garantita la piena e corretta applicazione.
Sul fronte delle battaglie per i diritti, Usi-Ricerca, com’è noto, non si è mai tirata indietro, tanto meno poteva farlo in un caso, come quello di Sergio, che inopinatamente era stato privato di un diritto, per di più in un frangente particolarmente difficile della sua vita familiare.
In questa circostanza, l’amministrazione dell’Istat è riuscita a scrivere una delle pagine meno edificanti della sua ormai quasi secolare storia.
Tutto è bene quel che finisce bene, ma sarebbe stato meglio se non fosse mai iniziata.