Per la nomina del direttore generale dell’Istat, avvenuta la scorsa settimana, si è assistito a un tuffo nel passato, quando la Res pubblica era tale solo a parole, dato che le dinamiche dei pubblici poteri si svolgevano sempre in forme oscure e segrete, onde si parlava di arcana imperii.
Solo negli ultimi secoli, con l’avvento della democrazia, ha cominciato a farsi strada l’idea che essa non significasse solo governo del popolo ma anche governo “davanti al popolo”, nel senso che questo dovesse essere messo in condizione di conoscere come la cosa pubblica veniva gestita dai governanti di turno.
Applicato al potere legislativo e a quello giurisdizionale, il principio della trasparenza delle decisioni e delle scelte ha pian piano conquistato terreno anche nell’ambito dell’amministrazione, assistendosi così a un singolare capovolgimento dell’ottica tradizionale, secondo cui il segreto era la regola e la pubblicità l’eccezione.
Questo, naturalmente in via di principio, dato che certe inveterate, ma anche comode, abitudini nel modo di gestire il potere si sono rivelate assai dure a morire. Di questa, tutt’altro che commendevole, “resistenza” abbiamo avuto di recente una chiara conferma proprio all’Istat, ente che da alcuni anni, a prescindere da chi lo governa, non perde occasione per innalzare peana alla trasparenza.
Si è così prodotta una situazione che ha del paradossale, cioè che la procedura per la nomina del presidente dell’ente statistico è risultata essere addirittura più trasparente di quella che ha portato alla scelta del direttore generale. Ma tant’è.
L’intera vicenda, che è culminata nell’affidamento dell’incarico di direttore, per la precisione, più che non trasparente è decisamente oscura: ignoti i motivi della riapertura (per ben due volte) dei termini per la presentazione della manifestazione di interesse da parte dei candidati; ignoti i membri della commissione che hanno valutato gli aspiranti; ignoti i candidati e i correlativi curriculum. Insomma, in barba alla trasparenza, imposta dalla legge e non voluta dal nostro capriccio, buio pesto su tutti gli aspetti salienti della storia, che solo Il Foglietto è riuscito parzialmente a illuminare, dando qualche notizia su ”vita e opere” del neo direttore.
Eppure, non più di qualche mese fa, l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), impegnata anch’essa nella scelta del nuovo dg, non aveva esitato minimamente a pubblicare sul proprio sito l’elenco degli aspiranti all’incarico e i rispettivi curriculum, analogamente a quello che aveva fatto il ministro della Funzione pubblica, in occasione della scelta del nuovo presidente dell’Istat.
Del resto, col senno di poi, forse all’Istat non poteva finire che così.
L’incipit era stato, infatti, assolutamente criptico, stante che il resoconto del verbale del cda dell’Istat del 17 dicembre scorso, nell’informare - si fa per dire - della composizione della commissione de qua, si era limitato ad accennare a due, non meglio specificati, ausiliari del presidente Alleva, descritti come “esterni di elevata competenza e professionalità”, tacendo rigorosamente sulle loro rispettive identità.
Signor presidente, francamente stentiamo a credere che così poco rimanga dei buoni propositi manifestati alla vigilia della sua nomina che, pur avvenuta tra le polemiche, aveva nondimeno suscitato in tanti la speranza in un vero rinnovamento.