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Lunedì, 06 Mag 2024

I risultati dello studio realizzato in collaborazione tra i ricercatori dell'Università degli Studi di Milano e gli ematologi dell'Ospedale Niguarda sono stati pubblicati, pochi giorni fa, sulla rivista Scientific Reports.

Oggetto dello studio, i meccanismi che portano all'instaurarsi di una patologia oncologica che colpisce le cellule del sangue: la leucemia mieloide acuta.

Il gruppo di lavoro, coordinato per la parte di ricerca accademica dal genetista Alessandro Beghini, del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano, e, per la parte clinica, da Roberto Cairoli, Direttore dell'Ematologia del Niguarda, ha evidenziato che in oltre un paziente su due c'è una correlazione tra la malattia e una porzione di DNA presente nelle cellule leucemiche che non è di tipo umano. Un'evidenza importante che richiederà ulteriori step di approfondimento per capire quale sia la fonte di questo “corpo estraneo” nel genoma dei pazienti. Si pensa alla “pista microbiologica”, con virus e batteri coinvolti nei meccanismi di patologia ma è ancora presto per avere un identikit preciso.

Questa importante scoperta apre a nuove branche di ricerca. Tutto nasce dall'evidenza di una sovraespressione della proteina WNT10B nella cellula leucemica. Già in uno studio di 4 anni fa, sempre a firma delle due équipe milanesi, si era visto che la proliferazione cellulare incontrollata, tipica dei meccanismi tumorali, presentava un'iper-espressione di questa proteina. “Siamo andati a ritroso e ci siamo chiesti chi impartisse questo ordine in grado di attivare un loop auto-proliferativo senza interruzione - chiariscono Alessandro Beghini e Roberto Cairoli - Inoltre, grazie ad una serie di tecniche di biologia molecolare molto avanzate, usate solo in pochi centri a livello mondiale, siamo riusciti a identificare una variante dell’oncogene WNT10B, e lo abbiamo studiato”.

Il lavoro di analisi in laboratorio è proseguito e l'équipe di Beghini, grazie anche al prezioso contributo di Francesca Lazzaroni (assegnista di ricerca presso il Dipartimento Scienze della Salute) e di Luca Del Giacco (Ricercatore presso il Dipartimento di Bioscienze di Unimi), si è affinato sempre di più, così nell'area interruttore, che regola l'espressione o lo spegnimento del gene, è emerso l'elemento di novità più importante dello studio: ci si è ritrovati di fronte ad una sequenza di nucleotidi (i mattoni che costituiscono il DNA) che sicuramente non è di origine umana.

“In questo ha giocato un ruolo fondamentale l'uso di sequenziatori automatici diciamo un po' vintage - svelano Roberto Cairoli e Alessandro Beghini - e non completamente al passo con le più moderne tecnologie. E questa è stata la nostra fortuna perché i macchinari di ultima generazione avrebbero scartato le sequenze non umane in automatico senza analizzarle”.

L'anomalia “con l'intruso” è stata riscontrata nel 56% delle leucemie mieloidi acute e il materiale genetico analizzato è stato estratto da una casistica di 125 pazienti trattati per questo tumore presso l’Ematologia di Niguarda nel corso degli ultimi 5 anni. “E' una scoperta importantissima - sottolineano i ricercatori - che negli anni a venire ovviamente richiederà una serie di approfondimenti per risalire alla specie a cui il DNA appartiene e per chiarire i meccanismi che hanno portato all'incorporazione. Per la fase di matching sarà fondamentale la collaborazione con enti di ricerca internazionali che mettano a disposizione banche di DNA non umano molto vaste”.

Inoltre gli stessi ricercatori hanno trovato un'altra correlazione che difficilmente può passare inosservata: hanno scoperto la stessa alterazione genetica anche in alcune cellule di tumore della mammella. Le evidenze al momento sono meno approfondite, ma è un input di ricerca che potrebbe delineare novità importanti anche per questa patologia.    

Nel frattempo le ricadute sul trattamento della leucemia mieloide acuta sono promettenti.

Con questa scoperta, infatti, si è identificato un nuovo target per le terapie a bersaglio molecolare. I prossimi passi della ricerca si concentreranno sullo sviluppo di nuovi farmaci che vadano a stoppare in modo mirato i meccanismi proliferativi mediati da WNT10B.

E' una possibilità in più per una malattia che ogni anno, solo in Italia, conta 2.000 nuove diagnosi in più, con una prevalenza di casi al maschile e con un picco di insorgenza dopo i 60 anni di età.  

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