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Mercoledì, 03 Lug 2024

Nei giorni scorsi, il Journal of Clinical Periodontology ha pubblicato i risultati di uno studio effettuato presso il Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio delle Malattie Parodontali e Peri-implantari dell’Università di Ferrara, diretto dal professor Leonardo Trombelli, e presso il Reparto di Parodontologia dell’Università di Bologna, diretto dal professor Luigi Checchi, riguardante la valutazione della prognosi parodontale ai fini di personalizzare la prevenzione secondaria della parodontite, che è una delle malattie più diffuse a livello mondiale.

Il lavoro scientifico ha già ricevuto nel 2016 un importante riconoscimento, con l’assegnazione del premio “H.M. Goldman” da parte della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia, quale migliore ricerca clinica in parodontologia.

L’interesse del professor Trombelli e del suo gruppo di ricerca per il rischio parodontale nasce dieci anni fa, quando l’Università di Ferrara elabora un metodo oggettivo per la valutazione della prognosi parodontale. Nel 2007, infatti, è stato elaborato e pubblicato un sistema che, sulla base delle informazioni relative ai maggiori fattori e indicatori di rischio della parodontite, consente di obiettivare la prognosi parodontale del paziente. Due anni dopo, lo stesso gruppo di ricerca ha dimostrato come il metodo possa costituire uno strumento più semplice ed altrettanto accurato rispetto ad altri già disponibili.

“In parodontologia – spiega il professor Trombelli - essere a rischio per la parodontite significa avere una maggiore probabilità di sviluppare la malattia (se si è parodontalmente sani) o di subire una progressiva distruzione del sostegno parodontale (gengiva e osso) e conseguente perdita di denti (se si è già malati). In altre parole, i soggetti che presentano un livello di rischio elevato hanno, in assenza di trattamento, maggiori probabilità di peggioramento del proprio stato parodontale rispetto a pazienti con rischio basso, con conseguente aumentata probabilità di perdere i denti”.

Sempre il professor Trombelli aggiunge: “II metodo proposto dall’Università di Ferrara è basato su 5 parametri, tra cui fumo e diabete mellito, segni clinici della malattia con riconosciuto valore prognostico (numero di tasche parodontali, indice di sanguinamento) e parametri derivati (rapporto tra denti con perdita ossea ed età). A ciascun parametro viene assegnato un punteggio e la somma algebrica dei punteggi viene calcolata e associata al di rischio del paziente, che può variare da 1 (rischio basso) a 5 (rischio elevato)”.

Nello studio, le Università di Ferrara e Bologna hanno condotto una valutazione longitudinale della associazione tra i punteggi di rischio generati in accordo al metodo UniFe e la progressione della parodontite. Per lo scopo, sono stati ottenuti dati relativi ad un’ampia coorte di pazienti sottoposti a terapia parodontale attiva presso i due Atenei, e successivamente inseriti in un programma di prevenzione secondaria della durata di almeno 4 anni (media di 5.6 anni).

I dati pubblicati mostrano come la perdita media di elementi dentari in corso di terapia di mantenimento sia stata positivamente associata al livello di rischio identificato con il metodo dell’Università di Ferrara all’inizio del programma preventivo. I pazienti con livello di rischio basso non hanno avuto, infatti, una perdita di denti, mentre i pazienti con livello di rischio elevato hanno avuto una perdita media di circa 2 denti.

Nel loro complesso, i dati dimostrano che il metodo proposto dall’Università di Ferrara costituisce uno strumento di rapido e semplice utilizzo per l’identificazione dei pazienti a rischio di perdere denti durante la terapia parodontale di mantenimento.

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