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Martedì, 07 Mag 2024

Sono i signori della salute pure se qualcuno li ha definiti gli inventori delle malattie. Amati almeno quanto odiati, i colossi del farmaceutico sono una delle colonne portanti del nostro modello sociale, che oggi misura il suo successo guardando a due numeri: la crescita del pil e quella dell’età media, che poi è al tempo stesso una delle questioni più problematiche con le quali dobbiamo fare i conti. Ma Big Pharma non è solo, o almeno non più, un efficientissimo sistema per produrre e vendere farmaci. Da un pezzo ormai le compagnie farmaceutiche si sono evolute fino a entrare dentro business fino a pochi decenni fa del tutto alieni: il brevetto genetico, la produzione di ogm, la chimica alimentare, con il mondo misterioso degli additivi. Dentro una compagnia farmaceutica si trattano molecole, quindi, dna. La loro applicazione pratica conosce ormai come limite solo la fantasia.

Guardare dentro questo mondo, perciò, è un viaggio molto istruttivo lungo le coordinate del nostro presente e insieme nel tessuto economico che lo sostiene, visto che l’industria, a livello globale, sviluppa un mercato di oltre un trilione di dollari, quindi mille e più miliardi, che si prevede crescerà ancora a tassi superiori al 4% nei prossimi anni, proprio in ragione della circostanza che l’allungamento dell’età media fa aumentare il consumo di farmaci, ma non solo.

Un buon modo per iniziare a farsi un’idea è l’ultimo Top market report rilasciato dal Dipartimento del commercio internazionale Usa che per pura ragione di bottega – gli Usa sono uno dei mercati più fiorenti – monitora regolarmente lo stato dell’industria paragonandola anche con i principali competitor internazionali. E la prima cosa che bisogna ricordare quando si parla di industria farmaceutica è che si tratta di un settore molto regolato. Gli stati intervengono pesantemente, sia per mantenere e garantire un livello adeguato di sicurezza, sia per temperare i prezzi dei farmaci tramite i sistemi sanitari nazionali o quelli assicurativi. Questa complessità è una delle sfide più rilevanti cui deve far fronte l’intero settore.

Il rapporto fa riferimento ad alcune classi di produzioni: quella specificamente farmaceutica, che si occupa di “sostanze usate per la diagnosi, la cura, la mitigazione e il trattamento o la prevenzione di malattie, o sostanze che hanno lo scopo di avere effetto sulla struttura o la funzione del corpo”; quella che si occupa delle innovazioni, quindi focalizzata su ricerca e sviluppo o sui farmaci sperimentali, con tutto il loro portato di brevetti e autorizzazioni. “L’industria – spiega – dipende essenzialmente dallo sviluppo di nuove molecole per rimpiazzare i ricavi declinanti delle vecchie e lo scadere dei brevetti”, che negli Usa durano vent’anni. Questa considerazione serve a ricordare che i signori del farmaco producono per il profitto, non per salvare l’umanità. Che può suonare sgradevole, ma ha il pregio della sincerità.

Un’altra linea di produzione particolarmente aggressiva è quella dei farmaci generici, ossia farmaci che copiano altri farmaci replicando il principio attivo in esso contenuto. Questa categoria di farmaci trova nel prezzo lo strumento principale della competizione. Le industrie hanno anche sviluppato una produzione di farmaci biologici, che includono i vaccini e il biotech, le terapie proteiche, il sangue e le componenti del sangue, i tessuti, eccetera. A differenza dei farmaci costruiti tramite la chimica, quelli derivati da esseri biologici – ossia gli antenati della moderna medicina – sono assai difficili da trattare, ossia più costosi, ma a volte anche i più efficaci. “I trattamenti biologici stanno rivoluzionando il trattamento del cancro e i disturbi autoimmuni e sono critici per il futuro dell’industria”. Quindi ci sono i farmaci OTC, over the counter, quelli che noi chiamiamo farmaci da banco, che non richiedono prescrizione medica. Ed è qui che si concentra una fetta rilevante del business del settore. Per dare un’idea, negli Usa esistono 100 mila farmaci da banco. E, infine, ci sono i principi attivi e gli eccipienti, che sono i componenti basici dei farmaci.

Queste diverse produzioni alimentano un settore che negli stati Uniti è semplicemente gigantesco. Secondo l’associazione di categoria, nel paese l’industria dei farmaci e dei suoi derivati dà lavoro direttamente a oltre 800 mila persone, che diventano 3,4 milioni se si considera l’indotto. Inoltre, ha prodotto un valore aggiunto di 790 miliardi (dato 2014). Per dare un’idea di quanto pesi il farmaceutico nella spesa nazionale, basta considerare che la spesa totale supera i tre trilioni, la metà circa a carico del governo e il resto a carico dei privati.

Il settore riveste un’importanza strategica perché investe in ricerca e sviluppo fra il 15 e il 20% dei ricavi: parliamo di decine di miliardi ogni anno. Questo, unito al prestigio del mondo scientifico Usa, attira molti investimenti dal variopinto mondo del venture capital che trova qui ottime occasioni di profitto. Certo aiuta anche la dimensione del mercato. Nel 2015, l’industria Usa ha venduto farmaci per 333 miliardi, il triplo del rivale più vicino e più temuto: la Cina. La circostanza che un paese che ha quattro volte gli abitanti degli Usa spenda un terzo per i farmaci la dice lunga sulle abitudini di consumo Usa (e su quello cinese) e giustifica l’ottimismo degli analisti secondo cui “gli Usa rimarranno il mercato più importante del mondo con una robusta crescita prevista in tutti i settori”.

Ciò non vuol dire che gli altri mercati siano robetta. Gli Usa sono sia importatori che esportatori.  

Questi dati però non fotografano con chiarezza la natura estremamente globalizzata di questa industria. Diverse componenti low cost, ad esempio gli eccipienti, vengono prodotte in India e Cina e quindi esportate negli Usa, mentre produzioni più sofisticate sono state massicciamente dislocate in Irlanda e Singapore. A loro volta alcune compagnie estere trovano conveniente produrre negli Usa per avere accesso direttamente al più grande mercato del mondo.

Lo scenario globale illustra un mercato che valeva 1.000 miliardi nel 2015 ed è avviato a valere 1,3 trilioni entro il 2020, con un tasso di crescita annuale del 4,9%, sicuramente sostenuto dalla tendenza all’invecchiamento della popolazione e dal costante aumentare della spesa dei governi, nei paesi avanzati soprattutto, ma sempre più anche in quelli emergenti, dove i tassi relativi di spesa pro capite ancora contenuti vengono compensati dal numero rilevante di persone che chiedono e chiederanno sempre più in futuro, pillole della salute.

Il rapporto si conclude esaminando quattro dei top player dell’industria a livello globale. Innanzitutto il Canada, che ha conquistato il decimo posto della classifica globale. Poi la Cina, definita come il mercato “più promettente per le sue dimensioni e il suo potenziale di crescita. Quindi la Corea del Sud e poi la Turchia, due piccoli mercati ma tuttavia con buone prospettive di crescita.

Ma è tutto il settore ad essere promettente, persino per gli analisti più prudenti. Altre stime ipotizzano che la vendita di farmaci a livello globale raggiungerà i 1.120 miliardi di dollari entro il 2022, in crescita costante. Questo mentre si immagina il sorpasso da parte della Roche del gigante Novartis, con vendite della prima per 52,6 miliardi. Il terzo colosso, la Pfizer, dovrebbe fermarsi poco sotto i 50.

Come si può osservare da questa ricognizione, per quanto rapida, l’industria farmaceutica sembra destinata a un futuro radioso. I signori della salute sono globali, interconnessi e vedono crescere continuamente le prospettive di profitto, grazie al combinato disposto dell’invecchiamento e dell’aumento della popolazione mondiale. I governi sono la loro principale cornucopia, ma i privati non sono da meno. In salute o in malattia, avremo sempre bisogno di una pillola per vivere meglio e più a lungo. Ed è su questo pensiero che si fonda la loro fortuna.

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giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer

L’articolo è stato pubblicato anche sul n. 16 di Crusoe, newsletter in abbonamento prodotta da Slow News.

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