Sono stato intervistato dalla terza rete TV nell’ambito di un servizio ben fatto, sull’erosione costiera e sulle barriere frangiflutto, cosiddette "antierosione". Il servizio è andato in onda domenica 5 maggio, di mattina, su “Mi manda Rai Tre”. Per la vastità dell’argomento, combinata con le esigenze tiranniche dei tempi dello strumento televisivo, hanno dovuto tagliare troppe delle cose che ho detto. Allora ho deciso di scriverle.
Si potrebbe pensare, ad intuito, che le barriere di scogli parallele alla costa possano aumentare la diversificazione degli habitat marini e, quindi, la biodiversità. L’esperienza consolidata mostra, invece, che portano solo danni alla biologia del mare. Vediamo il perché.
1) La recinzione di uno specchio di mare impedisce il rimescolamento dell’acqua. Questa si riscalda eccessivamente e crolla il tenore dell’ossigeno disciolto indispensabile a tutta la vita acquatica superiore. Nelle notti calde poi, quando cessa la fotosintesi operata dalle alghe e vi sono solo fenomeni di respirazione, l’ossigeno disciolto si esaurisce completamente. Gli organismi dotati di scarsa mobilità (sessili) e quelli che vivono nelle sabbie, impossibilitati a fuggire muoiono per asfissia.
2) Il riscaldamento e l’acqua ferma aumenta il metabolismo algale. Le alghe microscopiche quindi si riproducono moltissimo e tolgono trasparenza al mare. Il danno non è solo estetico ma mette a rischio la sicurezza: se qualcuno stesse per annegare, non lo si potrebbe soccorrere per tempo se il corpo in acqua non si vede. Mi è successo di vivere un episodio del genere assieme ad altri soccorritori ma seppure intervenuti immediatamente, non si vedeva niente e dovemmo tastare coi piedi l'intorno e alla fine si riuscì a localizzare due cadaveri di giovani.
3) Rischio di incidenti: le barriere producono un fondale bassissimo al loro centro mentre diviene profondo alle due estremità. Se non c’è trasparenza, un incauto che non sappia nuotare può incappare in una “buca” facendo pochi passi.
4) Quando la massa notevole delle microalghe arriva a morire e va a depositarsi sul fondo, si crea un aggravio di caduta di concentrazione dell’ossigeno disciolto che può innescare fenomeni di putrefazione batterica (riduzione) abbastanza significativi da produrre cattivi odori per l’esalazione di gas come l’acido solfidrico e l’ammoniaca, entrambi molto tossici per la vita acquatica.
5) La zona interna alle barriere, inoltre, funge da trappola per i sedimenti fini e ultrafini che vi entrano con le onde. Questi intasano le branchie dei molluschi (e non solo) che muoiono, anche per questo motivo, asfissiati. Se provate a battere con la mano la parte interna immersa di uno scoglio vi accorgerete che si alza una nuvola di polvere finisssima che vi era depositata. Entro le barriere, tra ossigeno che manca e polvere che intasa, la vita marina è oramai assente del tutto entro le sabbie (niente vongole, telline, cannolicchi, ricci di sabbia…) o ha presenze residuali, limitatissime di cozze assai piccole e solo in alto e alle estremità delle barriere ove riescono ancora a respirare per la corrente che dilava.
6) La corrente che si crea tra due barriere vicine è pericolosa perché può portare una persona al di fuori di esse, in acque profonde.
7) L’inquinamento eventuale da enterobatteri fecali entro l’acqua stagnante e calda tende a persistere di più nel tempo.
Infine, con la crisi climatica abbiamo invasione di alghe tropicali potenzialmente tossiche, entrate in Mediterraneo e in Adriatico dal Mar Rosso attraverso Suez. Anche da noi, ad esempio, è presente, nel sud dell’Abruzzo, Ostreopsis ovata, un’alga microscopica che preferisce i substrati duri per ancorarsi, mentre fatica a farlo nelle sabbie instabili. Intonaca di una patina brunastra le scogliere verso Fossacesia e l’ARTA la tiene sotto controllo. Se nella riproduzione l’alga supera l’emissione di 50.000 cellule/per litro, scatta il divieto di avvicinarsi all’acqua perché fa ammalare le persone!!!
9) Tralascio qui le considerazioni più generali: i fiumi che con le dighe non portano più sabbia, i danni alle montagne per il prelievo dei massi, le spese ingentissime di realizzazione e il fatto che le barriere non risolvono il problema dell’erosione ma lo spostano a sud.
10) Un rimedio formidabile, intanto, potrebbe essere ripiantare la nostra Posidonia, la Cymodocea nodosa (che chiamavano “CISCHIA”) che elimina l’erosione, ossigena le acque ed è un incubatoio straordinario di esseri marini e luogo di riproduzione dei pesci.
Con la Cymodocea il mare rinasce. Ma questo sarebbe troppo per l’imbecillitas che ci governa (saranno 20 anni che lo propongo), né lo vogliono i balneatori che vedono il mare come piscina “pulita” e non come ecosistema con la sua vita e meravigliosa complessità.
Giovanni Damiani
Presidente G.U.F.I. - Gruppo Unitario Foreste Italiane
Già Direttore di Anpa e già Direttore tecnico di Arta Abruzzo