di Antonio Del Gatto
Davvero inusuale l’iniziativa di Pasquale De Lise, presidente del Consiglio di Stato, che di recente ha inviato una missiva a Giuseppe Abbamonte, presidente della Società italiana degli avvocati amministrativisti, per dare disposizioni finalizzate alla “riduzione dei tempi di definizione delle controversie”.
Per la massima autorità della giustizia amministrativa italiana, perché tale biettivo posa essere raggiunto “è necessario che anche gli avvocati contribuiscano, depositando ricorsi e, in genere, scritti difensivi in un numero contenuto di pagine, che potrebbero essere quantificate in 20-25”.
Qualora, invece, la causa fosse particolarmente complessa, per cui l’indicato numero di pagine risultasse insufficiente, De Lise invita gli avvocati a redigire anche un riassuntino dell’atto “di non più di una cinquantina di righe (un paio di pagine)”.
Ora, tenendo conto che il ricorso amministrativo, sia al Tar che al Consiglio di Stato, si divide in due parti, una per l’elencazione delle parti e per la descrizione del fatto per cui è causa e l’altra per l’enunciazione dei motivi di diritto che si presumono violati, le drastiche contrazioni quantitative imposte dal presidente del Consiglio di Stato appaiono come una limitazione al diritto di difesa, al punto da ipotizzare una sorta di “giustizia sommaria”.