di Alex Malaspina
Un giudice amministrativo impugna davanti al Tar l'esito, a lui sfavorevole (neanche ammesso agli orali), di un concorso a Consigliere di Stato.
La vicenda si svolge, dunque, tutta tra colleghi, cioè tra giganti del diritto, che si cibano di pandette e parlano a suon di brocardi.
Il ricorrente non solo contesta lo svolgimento e l'esito della prova, chiedendone l'annullamento, ma chiede altresì il risarcimento del danno patito per effetto degli atti concorsuali contestati.
L'apertura è a bomba e sembra non dimostrare un'eccessiva apertura di credito nei confronti della categoria cui pure il ricorrente appartiene.
Questi, infatti, rilevata la commistione tra magistrati del Consiglio di Stato componenti la commissione di concorso, da un lato, e presidenti dell'organo giurisdizionale competente a giudicare sul ricorso, dall'altro, prospetta l'incompatibilità di tutti, ma proprio di tutti, i magistrati amministrativi (di Tar e Consiglio di Stato, nessuno escluso) a giudicare delle controversie riguardanti colleghi. Dunque anche della sua.
Però gli va male, perché i giudici del Tar, con sentenza n. 41/2011, hanno buon gioco nel rispondergli che ha esagerato.
Passi la ricusazione di una o più persone fisiche, ma di tutti è troppo; l'organo intero non si può, altrimenti chiunque, a sua discrezione, potrebbe paralizzare l'esercizio della funzione giurisdizionale. Lo dice la logica e naturalmente copiosa giurisprudenza, citata senza risparmio.
Sorte non migliore tocca al resto del ricorso, che cade sotto la tagliola dell'irricevibilità per tardività.
Anziché aspettare la pubblicazione della graduatoria, infatti, l'interessato avrebbe dovuto proporre ricorso dal momento della conoscenza degli atti lesivi, cosa che era avvenuta ben prima, avendo egli esercitato il diritto di accesso ai documenti dai quali risultava la sua esclusione dalle prove orali.
Una disattenzione che gli è costata davvero molto cara. E che sorprende perché vi è incappato un giudice del Tar.