di Antonio Del Gatto
Più volte, Usi/RdB ha sollevato presso le amministrazioni la problematica del valore del buono pasto da sottoporre a tassazione a carico del dipendente.
Come noto, il valore nominale del buono pasto con coincide con quanto le amministrazioni erogano, di fatto, ai fornitori i quali, in sede di gara, per aggiudicarsi l’appalto, praticano uno sconto sul detto valore nominale.
Per converso, gli enti “tassano” la differenza tra il valore nominale e la quota esente di 5,29 euro.
L’Agenzia delle Entrate ha ripetutamente, anche di recente, chiarito che “In conformità alla regola generale (art. 9, comma 3, Testo unico imposte sui redditi) - che tiene conto, ai fini della determinazione del valore normale, anche degli sconti d‘uso - si può ritenere che detto valore, per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro”.
In pratica, il dipendente verrebbe così a vedersi “tassata” una quota inferiore rispetto a quella finora presa in considerazione dalle amministrazioni.
Il caso è ora all’esame della Ragioneria Generale dello Stato, alla quale si è rivolto nei giorni scorsi il Ministero dell’Interno.