di Antonio Del Gatto
Mentre in Italia i tribunali sono intasati dalle denunce per diffamazione a mezzo stampa, non sempre fondate e a volte intimidatorie, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, si leva una difesa forte della libertà di stampa.
Con chiarezza, i giudici dell’Ue precisano che per scagionare il giornalista dall’accusa di diffamazione, i tribunali degli Stati membri devono solo verificare se il comportamento professionale è stato corretto.
Di più: essi sono chiamati a verificare le conseguenze che la decisone può avere sull’intero sistema dei media, oltre che sul giornalista. Questi non può essere punito se prova, alla stregua degli standard professionali, di avere agito “correttamente e in modo responsabile”, con la più ampia facoltà di prova.
Nella stessa direzione si muove un’altra decisone della Corte Ue del 28 giugno scorso.
A garanzia della libertà di espressione, i giudici hanno stabilito che le Autorità nazionali, quando un giornalista è condannato per violazione del segreto istruttorio, hanno l’onere di provare se, nei diversi casi, la divulgazione della notizia ha avuto conseguenze negative sulla prosecuzione delle indagini e se ha arrecato danno alla presunzione di innocenza dell’indagato.