di Antonio Del Gatto
“La condotta del datore di lavoro che costringe la neo mamma, che non aveva accettato di presentare le dimissioni, a lavorare in un luogo fatiscente e abbandonato, configura l’ipotesi del reato di tentata violenza privata”.
A stabilirlo è stata la Suprema Corte di Cassazione - Vi sezione penale - con la sentenza n. 36322 del 21 settembre 2012 (Pres. Grassi, Rel. Savani). Gli Ermellini di piazza Cavour, in sintonia con la Corte d’appello di Catania, hanno ritenuto colpevole del reato di violenza privata il titolare di una società che aveva riservato a una dipendente, appena rientrata dal periodo di astensione obbligatoria per maternità, condizioni invivibili in un ambiente degradato, compiendo atti "idonei e univocamente rivolti a farle accettare le condizioni della società" (o le dimissioni o il prolungamento del periodo di maternità con retribuzione solo del trenta per cento dello stipendio).
La malcapitata era stata l'unica dipendente ad opporsi ai soprusi, rifiutandosi di dare le dimissioni e rimanendo al suo posto di lavoro nell’impresa che i titolari avevano intenzione di far cessare per proseguire nella stessa attività sotto una nuova veste societaria ma con lo stesso complesso aziendale e con gli stessi dipendenti licenziati e assunti nuovamente.