di Roberto Tomei
C’è una regola incontestata e incontestabile. Quando un giornale o un qualsiasi mezzo di informazione fa pubblicità a qualcuno o a qualcosa ricevendone in cambio un corrispettivo in danaro, ha l’obbligo di farlo presente al lettore. Come? Evidenziando in alto, chiaramente, nell’articolo o in sovrimpressione se si è in televisione, che trattasi di “messaggio pubblicitario”, “prodotto publiredazionale” o “informazione pubblicitaria”. Se non si fa, si violano le regole.
E’ appena di qualche settimana fa la vicenda delle interviste a pagamento in alcune emittenti locali, che ha scatenato un vero putiferio all’interno del Movimento 5 Stelle di Grillo, ma anche negli altri partiti.
Il 24 settembre scorso ci è invece capitato sotto mano un inserto di 20 pagine, dal titolo Eventi, distribuito nella Regione Lazio con l’edizione quotidiana de Il Sole 24 Ore. L’inserto, dedicato al tema Ricerca, Innovazione, Tecnologia ha raccolto tra gli altri articoli su due enti di ricerca e su un sindacato del comparto.
Risulta al Foglietto che per poter apparire sull’inserto del prestigioso quotidiano economico occorreva sottoscrivere una proposta commerciale ad hoc: 3000 euro, oltre iva, per un’intera pagina; 1600, più iva per mezza pagina e 850, più iva, per un quarto di pagina.
Nulla da eccepire se i lettori fossero stati avvertiti che si era di fronte a un prodotto publiredazionale, vale a dire ad articoli di natura commerciale realizzati da un giornalista della testata in collaborazione con i committenti: enti pubblici o privati.
Resta il fatto che i lettori, anche i più provveduti, sono rimasti all’oscuro della circostanza, tutt’altro che trascurabile, che i contenuti degli articoli non erano il risultato di attività giornalistica ma erano stati richiesti da coloro che avevano accettato la proposta del giornale.
Siamo forse di fronte a una mutazione genetica dei mass media? Bah!