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Giovedì, 04 Lug 2024

di Maurizio Sgroi*

Poiché non esistono pasti gratis, come insegna un vecchio proverbio americano degli anni ’30 reso celebre da un libro di Milton Friedman, è bene sottolineare che tale regola non funziona solo per la spesa pubblica, come vorrebbero i seguaci del maestro di Chicago. Tutt’altro. Il concetto sottinteso nella massima, ossia che qualcuno pagherà sempre per i vantaggi ricevuti da qualcun altro, ha valore universale in un ambito economico competitivo e non cooperativo.

Si possono fare decine di esempi. Ma quello più interessante che mi è venuto in mente riguarda la partita sempre più difficile che sta giocando la Bce per salvare le magnifiche sorti e progressive della finanza europea.

 

E’ chiaro a tutti che la Bce ha svolto politiche eccezionali, meno di quelle americane e giapponesi ma comunque fuori dall’ordinario, per salvare le banche dell’eurozona. Si può discutere dell’efficacia di tali misure, ma la circostanza che siamo ancora qui a parlarne dimostra che finora hanno funzionato. O che perlomeno hanno evitato marosi peggiori di quelli che ci troviamo ad affrontare.

Ciò non vuole dire che in futuro delle banche sia roseo, visto che il quadro generale dei mercati finanziari è alquanto “segmentato”, come dicono i nostri algidi banchieri, e che non pare che i finanzieri abbiano imparato la lezione. E poi, come se non bastasse, ci si è messa pure la Fed, che ha minacciato di far cessare fra pochi mesi la bonanza del denaro a costo negativo. E infatti il povero Draghi ha dovuto affrettarsi a rassicurare i mercati: le politiche monetarie allentate della Bce dureranno finché sarà necessario e non termineranno tanto presto.

Belle parole. Borse contente, banche pure.

Sennonché, come dicevo, non esistono pasti gratis. Tenere bassi i tassi per via monetaria o per il tramite di acquisti sul secondario ha un effetto potenzialmente distruttivo su un’altra categoria di operatori finanziari, che sono altrettanto sistemici, e per di più coinvolgono le aspettative di lungo termine dei cittadini: le assicurazioni e i fondi pensione.

“L’esperienza giapponese degli anni ’90 – scrive Ania nel suo ultimo rapporto annuale – ha dimostrato quale possa essere l’impatto di un periodo prolungato di bassi tassi d’interesse sulle compagnie assicuratrici, in particolare per il segmento vita”. Nel 2011, non a caso, l’Eiopa (European Insurance and Occupational Pensions Authority), ossia il supervisore della stabilità del settore in Europa, ha pubblicato alcuni stress test sul sistema assicurativo europeo, dal quale è emerso che una percentuale fra il 5 e il 10% del campione avrebbe avuto un requisito di capitale (MCR) inferiore al 100% e una gran parte di poco superiore al 100%.

Il 28 febbraio del 2013 l’ente ha pubblicato un altro documento, indirizzato alle autorità di vigilanza degli stati membri dell’Ue che rimarca ancora di più i rischi sistemici per le assicurazioni provocati da uno scenario di bassi tassi d’interesse. Le compagnie ”a fronte di impegni contrattuali assunti, tipicamente di lungo termine, corrono maggiormente il rischio, nello scenario di bassi tassi, di vedere deteriorata la propria posizione finanziaria, soprattutto quando la struttura delle garanzie offerte sia rigida e su tassi di interesse elevati rispetto ai rendimenti ottenibili dalle attività investite a copertura delle riserve”.

Detto in parole comprensibili, le assicurazioni, ma anche i fondi pensioni, specie quelli a prestazione definita, si trovano a dover fare i conti con impegni finanziari che prevedono esborsi remunerati a un tasso più alto rispetto a quello che le compagnie possono spuntare investendo le proprie attività. E, a meno che non rischino di più per avere rendimenti più alti (con tutte le controindicazioni del caso), devono rassegnarsi a rimetterci.

“L’attenzione – scrive Ania – è rivolta, particolarmente ma non solo, ai paesi dell’Europa centro-settentrionale, tra cui la Germania, dove a fronte di strutture di garanzia piuttosto rigide i tassi di interesse dei titoli a reddito fisso si mantengono molto bassi”.

L’Eiopa si è concentrata in particolare sulle assicurazioni, ma “uno scenario caratterizzato da bassi tassi di interesse avrebbe senz’altro effetto anche sui fondi pensione, specialmente se a prestazione definita”. L’Eiopa se ne occuperà nel corso dell’anno, quindi staremo a vedere.

Ma intanto il problema rimane, ed è destinato ad aggravarsi se le compagnie inizieranno a valutare i propri asset non più al costo storico, come prevede la disciplina Solvency I, ma sui valori di mercato, come previsto dalle regole di Solvency II. Il corrispondente del mark-to-market previsto per gli asset bancari.

In tal caso i requisiti patrimoniali delle assicurazioni sono destinati a peggiorare. Per questo l’Eiopa ha suggerito alle assicurazioni di aumentare le proprie riserve. Esattamente come è stato suggerito di fare alle banche con il capitale proprio.

Per capire quanto tale allarme non sia teorico, basta dare un’occhiata al patrimonio delle assicurazione nostrane. Nel ramo vita la percentuale di investimenti in titoli di stato è passata dal 55% del 2009 al 66% dell’aprile 2013 nel portafoglio durevole, mentre in quello non durevole si è passati dal 53 al 59%. Le assicurazioni, insomma, hanno replicato quello che hanno fatto le banche: si sono imbottite di titoli di stato, mentre le famiglie, al contrario, se ne liberavano. Sicché nell’aprile 2013 le assicurazioni contabilizzavano 128,7 miliardi di titoli di stato nei portafogli durevoli e al 100,4 in quello non durevole, per un totale di 229,1 miliardi a fronte dei 153,7 del 2009.

Se i tassi dovessero salire, le minusvalenze sarebbero dolorosissime, senza avere neanche la possibilità, come ce l'hanno le banche, di contare sui finanziamenti della Bce per metterci una toppa.

E proprio i finanziamenti della Bce, che tengono bassi i tassi insieme alla manovra sul tasso ufficiale, sono la causa di questa situazione.

Con un'aggravante. L’assicurazione di Draghi che la banca centrale non mollerà tanto presto la politica pseudo-espansiva, non fa i conti con quello che l’Eiopa ha scritto con chiarezza. Ossia che i primi a subire i danni di questa politica prolungata di tassi bassi sono i paesi del centro nord europeo, Germania in testa, ossia l’azionista di maggioranza della Bce. E proprio la Germania è uno dei paesi, insieme all'Olanda, dove il peso dei fondi pensione è relativamente fra i più alti dell’eurozona.

Fino a quando i nostri cugini nordeuropei accetteranno di mettere a rischio la stabilità dei loro sistemi pensionistici e assicurativi per consentire il salvataggio delle banche dei paesi del sud?

Questo è il problema della Bce.

socio-economic journalist*
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