L’articolo. 14 del d.P.R. n. 487 del 1994 prevede che, nei concorsi pubblici, la commissione consegni ai singoli candidati una busta piccola contenente un cartoncino bianco su cui indicare i propri dati anagrafici; questa busta deve avere natura e consistenza tale da non consentire la lettura dei medesimi dati.
Il Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 11 luglio 2013 n. 3747 (Pres. Severini, Est. Lopilato), ha stabilito che è illegittimo un concorso nel caso in cui risulti che siano state fornite delle buste contenenti i nominativi dei candidati che, in presenza di una luce naturale o artificiale, rendano possibile leggere i nominativi dei candidati e così identificarli, con evidente lesione della inderogabile garanzia di anonimato e, dunque, di eguaglianza.
Sono a tal fine irrilevanti – precisano i magistrati amministrativi - le circostanze che la P.A. che ha indetto il concorso abbia acquisito le buste mediante una fornitura Consip e che in sede di prova d’esame nessuno abbia specificamente contestato la "trasparenza" della buste, non essendo d’altra parte necessario, per la lettura dei nominativi, un comportamento effettivamente "fraudolento" della commissione, in quanto, è sufficiente un impiego "ordinario" delle buste affinché si possa venire a conoscenza dei nominativi dei candidati.
Troppa trasparenza, dunque. E dire che, sempre più spesso, la pubblica amministrazione viene accusata di mostrarne poca.