di Antonio Del Gatto
Non sussiste la giusta causa di licenziamento a carico del lavoratore che usa espressioni volgari contro i capi e l'azienda davanti agli altri colleghi ma poi svolge regolarmente le sue mansioni.
Lo ha sancito la Corte d'Appello di Potenza che, con la sentenza n. 79/2013, ha respinto il ricorso presentato da un istituto di vigilanza contro la decisione del Tribunale che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento a carico di una lavoratrice che aveva fatto delle critiche volgari contro i suoi capi e l'azienda, davanti a un gruppetto di colleghi.
Ciò perché, ha spiegato la Corte territoriale, il licenziamento, in quanto sanzione massima con effetto estintivo, non può che conseguire ad una violazione non solo grave, quanto incompatibile con l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.
L'uso di espressioni volgari, la critica non costruttiva, la dichiarata insofferenza agli ordini turbano l'organizzazione ma non ne mettono in pericolo la funzionalità.
In altri termini, la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.
Insomma in questo caso è mancata l'insubordinazione che avrebbe giustificato la massima sanzione disciplinare.