di Biancamaria Gentili
Che negli enti pubblici, da sempre accusati di scarsa trasparenza, fosse in atto una sorta di rivoluzione, lo avevamo segnalato con un nostro articolo, lo scorso 3 settembre, quando titolammo “Troppa trasparenza fa male al concorso. Che viene annullato”.
Era accaduto, infatti, che il Consiglio di Stato aveva travolto una procedura concorsuale in quanto il Miur, in occasione del concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi, aveva fornito ai candidati buste trasparenti, che consentivano controluce, a plico chiuso, la lettura dei dati anagrafici dei candidati stessi, con evidente lesione della inderogabile garanzia di anonimato e, dunque, di eguaglianza.
Quello che sembrava un caso isolato, quasi un incolpevole scivolone, si è ripetuto nei giorni scorsi, ed ha riguardato un maxi concorso bandito dal Comune di Roma, per varie figure professionali, al quale hanno partecipato oltre 30 mila candidati, molti dei quali sono già stati dichiarati vincitori, che ora potrebbero addirittura ripetere le prove selettive in quanto anche a loro, come agli aspiranti dirigenti scolastici, durante le prove erano state consegnate buste “trasparenti”, in cui inserire i propri dati anagrafici.
Vabbé che da anni in Italia si lamenta una scarsa trasparenza da parte della pubblica amministrazione, ma cercare di colmare il deficit attraverso l’utilizzo di buste nude look, è davvero troppo, tanto più che ogni procedura concorsuale ha dei costi per l’erario non certo esigui.